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Is in Libia. Nuovi attacchi, vecchie preoccupazioni

L’Is si riaffaccia in Libia. Attentati per vendetta e per sfruttare spazi all’interno di un contesto delicato (e caotico), mentre il rischio è che la questione sulla sicurezza del Fezzan si allarghi al contesto regionale

Per la seconda volta nel giro di dieci giorni, lo Stato islamico ha rivendicato un attacco nel Sud della Libia. Le due azioni sono collegate? Un capitano della Brigata Martiri di al-Waw (affiliata alla milizia haftariana LNA) è rimasto ucciso ieri, lunedì 14 giugno, nella sua jeep per la detonazione di una trappola esplosiva: si trovava nelle Montagne Harouj, e stando a quanto viene raccontato sarebbe stato in pattugliamento per cercare indizi sulla presenza di una cellula ritenuta responsabile di un attacco suicida abbastanza più a ovest, a Sebha il 6 giugno.

Quell’attentato di Sebha, importante città del Fezzan (la regione meridionale libica), ha prodotto piuttosto clamore. L’Is ne ha spinto lo storytelling online. È stato condannato dal Governo di unità nazionale e dalle istituzioni internazionali come l’Onu: l’inviato speciale Ján Kubiš ha parlato di “un forte promemoria del fatto che l’elevata mobilità di elementi pericolosi e terroristi aumenta solo i rischi di favorire l’instabilità e l’insicurezza in Libia e nella regione”. Kubiš aveva colto l’occasione per “ribadire i nostri appelli per l’urgente necessità di avviare un processo per unificare le istituzioni militari e di sicurezza in Libia al fine di rafforzare la sicurezza dei confini e affrontare la minaccia del terrorismo e delle attività criminali”.

Lo Stato islamico in Libia è stato formalmente sconfitto nel 2016, quando le forze di Misurata unite nell’operazione “Al-Bunyan Al-Marsous” e sostenute dai bombardamenti americani (e da altri consulenti militari occidentali), hanno disarticolato la presenza territoriale concentrata nella città di Sirte, sul golfo omonimo al centro della costa libica. Si trattava di un hotspot del Califfato molto importante, primario tra i vari creati in altri paesi al di fuori del cuore centrale nel Siraq, che aveva mosso anche diversi comandanti di primo livello iracheni e siriani. Tuttavia, è noto che varie cellule si sono disperse soprattutto nel sud del Paese.

A Sebha ci sono sono stati diversi attacchi già negli ultimi diciotto mesi: soprattutto durante l’assalto armato che i ribelli della Cirenaica avevano lanciato su Tripoli, i baghdadisti avevano provato a sfruttare il contesto caotico per rialzare la testa. Sono queste condizioni d’altronde che ne facilitano la propaganda, necessaria per far attecchire la predicazione e creare proselitismo. L’Is potrebbe aver usato le ultime azioni per vendicare l’emiro dell’Is In Libia, Abu Moaz al-Iraqi, che è stato ucciso proprio a Sebha nel settembre scorso. Ma lo Stato islamico non è nuovo neanche nel cercare spazi in fasi delicate, e attualmente la Libia ne sta attraversando una di queste.

L’esecutivo GNU, nato pochi mesi fa sotto egida Onu per traghettare il Paese verso le elezioni convocate a dicembre, fatica a trovare una reale stabilità. Non ha completo consenso popolare, non ha ancora l’approvazione alla legge di bilancio, come ricordava Kubiš non ci sono forze di sicurezza unitarie (e infatti gli haftariani sfruttano le recenti vicende per continuare a raccontarsi come prima forza di sicurezza) e mancano le basi costituzionali per il voto (parlamentare e presidenziale) di fine anno. I libici sentono quest’instabilità, sebbene rispetto alla guerra il cessate il fuoco abbia permesso un miglioramento delle condizioni di vita. Nelle aree meridionali come Sebha mancano diversi generi di prima necessità comunque, e su queste incertezze i baghdadisti provano a far attecchire la loro narrazione.

Gli attacchi servono a ricordare che la loro presenza strisciante è comunque forte, in grado di creare preoccupazioni e scombussolamenti al processo in corso. In quella regione – dove per altro si giocano parti delle potenzialità della Libia del futuro, con la possibilità per esempio di usare il territorio per la transizione energetica – la situazione è ancora più complicata. C’è insoddisfazione tra i cittadini, e questo è terreno fertile per le istanze jihadiste. Le leggi sono lasche, i contatti osmotici con l’area subsahariana sono pericolosi perché la zona, come raccontato su queste colonne da Massimiliano Boccolini, è pervasa da traffici di ogni genere. Contrabbandi, migrazioni, spostamenti di armi, spesso controllati dai gruppi armati – alcuni dei quali sono jihadisti, affiliati ad al Qaeda, altri sono spurie dell’Is.

La sovrapposizione di questo col contesto regionale è automatica. Il Fezzan – dove tra poco l’Italia renderà operativo un consolato proprio a Sebha – è una regione i cui confini si perdono nel deserto, tra Niger, Ciad e Sudan. Il rischio è che queste dinamiche terroristiche si saldino con altre; che le attività delle organizzazioni si sommino a quelle di gruppi ribelli (come il FACT, che agisce in Ciad ma si rifugia nella Libia meridionale); che le varie fazioni dell’Is (che si trovano in Niger e in altre aree del Sahel e dell’Africa centrale) trovino collegamenti operativi.

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