L’assist così completo e pieno da parte della Banca d’Italia al governo è una novità, ma anche una buona notizia. La novità potrebbe non meravigliare in considerazione del fatto che nei due posti chiave del governo, il presidente e il ministro delle Finanze, operano due figure di diretta provenienza dalla stessa Banca centrale. L’analisi di Salvatore Zecchini
Da anni non si vedeva un assist così completo e pieno da parte della Banca centrale alle politiche del governo come si è visto nelle ultime considerazioni del governatore. Si direbbe che vi sia una perfetta sintonia tra un’istituzione in passato sempre pronta e prodiga a segnalare debolezze su cui intervenire e a raccomandare interventi correttivi e di riforma, da una parte, e un esecutivo che nel suo agire doveva solitamente mediare tra il programma politico votato dai suoi elettori e le urgenze delle tante debolezze dell’economia e della finanza italiana, dall’altra parte. La novità potrebbe non meravigliare in considerazione del fatto che nei due posti chiave del governo, il presidente e il ministro delle finanze, operano due figure di diretta provenienza dalla stessa Banca centrale.
Ma vi è di più di una medesima matrice culturale a contare, perché sembra che la devastazione economica operata dalla pandemia e la prospettiva di poter ottenere imponenti aiuti comunitari, benché condizionati al riparare e rilanciare l’economia, abbiano indotto un ampio spettro di forze politiche a mettere da parte le contrapposizioni ed accettare una comunanza di linea politica. Questa tocca scelte fondamentali per un Paese, ossia quanto spendere, come allocare la spesa, a quali soggetti destinarla, come veicolarla, da quale fonte trarre le risorse e quindi di quanto allargare il disavanzo pubblico, fino ad includere alcune riforme di sistema. Su misure da anni molto controverse ed oggetto del contendere politico, d’un tratto, per effetto della pandemia e dell’aiuto dell’Unione europea, si è compattato il consenso politico senza grandi polemiche, almeno finora.
Quali i più importanti punti di coesione tra Banca centrale e governo? In primo piano viene la stretta convergenza tra una politica monetaria ultra-accomodante e una politica di bilancio di dilatazione della spesa a fini tanto di sostegno a famiglie, imprese, ed enti territoriali, quanto di stimolo ad esportazioni, investimenti, ricerca ed innovazione, insieme al potenziamento di istruzione, sanità ed occupazione. Si afferma chiaramente che nell’incertezza delle attuali prospettive di crescita economica si debba continuare a lungo nell’orientamento espansivo del credito e nel tenere bassi i tassi d’interesse. Per giustificarli si richiama anche l’obiettivo di portare la dinamica dei prezzi in prossimità della meta del 2% annuo dopo un lungo periodo di bassa inflazione e senza timori per la stabilità dei prezzi.
L’argomentare va oltre la situazione contingente per affrontare i nodi dell’attuale architettura dell’unione monetaria. Nel riformarla il governatore compie un salto molto in avanti rispetto alle resistenze mostrate in passato dai maggiori Paesi dell’eurozona. Sostiene il passaggio dall’obiettivo attuale d’inflazione al di sotto del 2% annuo nel medio periodo a un tasso preciso dello stesso livello numerico con possibilità di scostamenti simmetrici nei due sensi nel corso del ciclo economico. La modifica servirebbe ad apportare chiarezza sull’azione della BCE e di riflesso a stabilizzare le aspettative su un esteso orizzonte temporale. Si auspica il mantenimento di una politica monetaria accomodante lungo tutta la fase di ripresa economica in funzione non di mero sostegno come si è visto nella crisi, ma di stimolo alla crescita. In questa ottica si appoggia un indirizzo analogo a quello perseguito dalle autorità monetarie americane, che ammette la possibilità di mantenere l’inflazione leggermente al di sopra dell’obiettivo per qualche tempo. In altri termini, accettare un’accelerazione moderata dei prezzi come uno dei mezzi per fornire una prolungata spinta alle attività economiche.
A completare quest’impostazione si ritiene necessario stabilire uno stretto coordinamento nell’uso delle due leve indipendenti, quella monetaria e quella di bilancio, e nel contempo sviluppare una politica di bilancio comunitario a fianco di quelle nazionali. Questa politica andrebbe basata sia su fonti autonome di entrata, sia sulla possibilità di emettere debito comune, permettendo con questo strumento di fronteggiare tanto crisi di portata generale, quanto quelle particolari di singoli paesi membri, in funzione complementare di supporto alle misure nazionali. L’emissione di titoli di debito europeo fornirebbe al mercato nuovi strumenti finanziari di grande affidabilità e potrebbe essere affiancata dalla gestione in comune di una parte dei titoli degli stati membri tramite un fondo di ammortamento, con la conseguenza di dare più consistenza al mercato europeo.
Le posizioni avanzate assunte dalla Banca d’Italia per sviluppare la costruzione di un’effettiva unione europea si coniugano pienamente con quelle governative, ma si scontrano con le resistenze manifestate per anni da Paesi, come la Germania e altri dell’Europa continentale, per ragioni differenti. A parte queste ultime, non andrebbero trascurati i rischi di singole modifiche al quadro monetario senza un collegamento con un’armonizzazione di altre discipline attinenti ai bilanci nazionali, ai mercati nazionali dei fattori, come capitale e lavoro, alle istituzioni che presidiano il funzionamento delle economie, e alle politiche di spesa pubblica.
Nelle condizioni attuali di abbondante liquidità, di grandi sacche di risparmio ferme nei conti bancari, di ampi margini di capacità produttiva inutilizzata e di disavanzi e debiti pubblici su livelli storicamente elevati, il solo annuncio della possibilità di tollerare per un certo periodo un ritmo d’inflazione superiore a un livello considerato per anni segno di stabilità dei prezzi potrebbe disancorare le aspettative di imprese e finanziatori. Si potrebbero creare di riflesso i presupposti per una situazione di stagflazione in cui, complice il rapido ritorno della domanda a lungo repressa, sarebbe facile aumentare i prezzi per recuperare i margini di reddito perduto prima ancora di determinare l’accelerazione degli investimenti. Già il mese scorso il rialzo dei prezzi nell’area dell’euro era arrivato di balzo alla meta del 2%.
Le aspettative di inflazione crescente si ripercuoterebbero sui tassi d’interesse, particolarmente su quelli a medio e lungo termine, come si vede negli Usa. Il coesistere con il prolungamento di aiuti e stimoli a carico di un bilancio pubblico in disavanzo potrebbe accentuare oltremisura il gonfiamento della domanda, che incontrando i limiti nella capacità di offerta dei fattori produttivi, può determinare ulteriori spinte sui prezzi. Ad esempio, la gradualità di uscita dal programma di sovvenzioni al lavoro e ai redditi potrebbe scoraggiare il ritorno dell’offerta di lavoro in parallelo con la ripresa della domanda ed indurre a richieste di maggiori salari con conseguenze sui prezzi. Sarebbe, quindi, necessario un vincolo di bilanciamento tra l’espansione monetaria e gli impulsi provenienti dai bilanci pubblici, nonché tener conto degli effetti sui prezzi degli andamenti dei mercati delle materie prime e di quelli valutari. Allo stato attuale della costruzione dell’Unione europea non si può contare su un simile stretto coordinamento, né il programma Next Generation Eu lo contempla, rendendo pertanto imponderabile il margine di rischio verso cui si andrebbe incontro nel mantenere orientamenti troppo accomodanti su entrambi i versanti, monetario e di bilancio.
Un incentivo alla crescita di medio periodo dovrebbe, tuttavia, derivare dall’attuazione di quattro riforme di sistema che sono parte integrante del Pnrr e che riscuotono l’approvazione del Governatore. A queste insieme agli incentivi alla ricerca ed innovazione riconosce la possibilità di fornire un contributo aggiuntivo alla formazione del PIL per sei punti percentuali in un decennio. A una perfetta esecuzione di tutto il Pnrr, inoltre, attribuisce la capacità di elevare il potenziale di crescita annua media di circa un punto percentuale nel prossimo decennio. Ovviamente si tratta di stime econometriche in condizioni ottimali, che difficilmente si riproducono nella realtà, ma segnalano l’appoggio che intende dare all’azione governativa.
Nondimeno, ricorda che è ancora più ampio di quello considerato nel Pnrr lo spazio delle riforme da attuare per creare un ambiente favorevole all’imprenditoria e per accrescere gli investimenti delle imprese e la produttività. Ancora, sui problemi più difficili del percorso di ripresa dell’economia tracciato dal Governo, ovvero il rientro dagli eccessi di debito, la crescente presenza del soggetto pubblico nel mondo delle imprese e l’assistenzialismo di Stato, il governatore usa un tocco molto leggero, con l’eccezione dell’ultimo. Su questo aspetto la posizione è netta quando sottolinea che non saranno i sussidi e gli incentivi a costruire la crescita futura.
Non affronta, invece, la questione del debito pubblico, se non per constatare che un graduale riequilibrio dei conti pubblici per riportare l’avanzo primario appena sopra l’uno percento del Pil potrebbe ridurre sul livello del 2019 il debito in rapporto al reddito nazionale e che una crescita più rapida lo potrebbe abbassare ancor di più. Anche sull’interrogativo di quale soluzione approntare per ricondurre l’indebitamento delle imprese nei limiti della sostenibilità non offre una risposta. Si limita, invece, ad ammettere che si va verso un peggioramento del rischio di credito per le istituzioni finanziarie e le esorta a una maggiore prudenza, che sembra contraddire la propensione al mantenimento dell’orientamento accomodante della politica della Bce.
Sull’estendersi della mano pubblica sulle imprese l’atteggiamento è molto equilibrato, sostenendo che Stato e mercato hanno ruoli complementari e non contrastanti. Mette, tuttavia, in guardia dall’estendere l’area pubblica di produzione di beni e servizi, perché l’esperienza del passato è costellata da “Fallimenti di Stato”, particolarmente allorquando l’impresa è al riparo della disciplina della concorrenza di mercato, oppure la sua gestione è svincolata da regole di responsabilità.
Nell’insieme il governatore segue una triplice linea di appoggio all’azione del governo senza tanti distinguo, di cautela nel configurare scenari futuri sui cambiamenti in atto nell’economia interna ed internazionale, e di impulso al completamento della costruzione europea, in cui ripone grande fiducia per la capacità di superare in comune le più ardue sfide del dopo-pandemia. Saranno ad ogni modo il successo che il Paese avrà nel suo rinnovamento economico e la disciplina indotta dall’Ue e dalle regole dell’euro a determinare se si avanzerà decisamente verso un periodo di riconquistato benessere e di più intensa integrazione, non semplicemente economica, tra i membri dell’Unione.