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Biden suona la sveglia sulla tecnologia cinese. E l’Italia?

Serve una risposta transatlantica all’espansione tecnologica di Pechino. L’Italia non può continuare a far finta di niente per tre ragioni fondamentali. Ecco quali

Con un executive order firmato il 3 giugno, il presidente Joe Biden ha indicato 59 aziende cinesi che rappresentano una seria minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La conseguenza pratica è che con esse non si possono intrattenere relazioni commerciali, finanziare e societarie.

Scorrendo la lista nera colpisce come alcune di queste aziende (soprattutto nel settore delle telecomunicazioni e della videosorveglianza) detengono significative quote del mercato italiano, hanno molteplici e consolidati accordi di collaborazione con imprese italiane nonché gestiscono contratti di fornitura con la Pubblica amministrazione ottenuti via Consip o tramite altre stazioni pubbliche appaltanti.

Non è una sorpresa. È noto come negli ultimi anni la dipendenza tecnologica dell’Italia dalla Cina è cresciuta in modo significativo nel comparto delle telecomunicazioni, delle tecnologie digitali e della videosorveglianza.

Le decisioni di Biden di pochi giorni fa non devono lasciare indifferente il governo Draghi: una riflessione è indispensabile e urgente.

Spetta innanzitutto al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dare risalto alla decisione del presidente degli Stati Uniti avviando una interlocuzione con i suoi colleghi europei con l’obiettivo di una risposta concertata da concordare in una dimensione euroatlantica. Il problema non è copiare gli americani, ma negoziare con Washington come europei una risposta convergente all’espansione tecnologica del Dragone.

L’Italia non può continuare a far finta di niente per tre ragioni fondamentali. Prima: la materia è rilevante per i rischi di spionaggio tecnologico e industriale e per la sicurezza nazionale. Seconda: sul piano della difesa – come sottolinea il provvedimento di Biden – siamo in ambito dual-use con tutte le implicazioni strategiche che ciò comporta in sede Nato. Terza: last but non least, marcare la distanza culturale con la Cina è davvero indispensabile, forse il nodo più importante.

Non possiamo avvallare un regime autoritario che esalta il valore delle nuove tecnologie digitali perché esse consentono una capillare sorveglianza di massa dei cittadini. La visione di Pechino è in netto contrasto con i principi dello Stato di diritto e con i valori di libertà che ispirano la nostra Costituzione.

Per l’Italia l’errore più grave sarebbe far finta di niente. Sinora si sono utilizzate fragili e incontrollabili prescrizioni del Golden power e si è fatto riferimento al lungo percorso dell’incompiuto Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Niente di veramente incisivo perché la massiccia presenza delle aziende digitali cinesi nel nostro Paese è un tema spinoso, complicato per tutti i partiti.

Tuttavia con l’executive order di Biden non ci sono più alibi. Il ruolo invasivo delle aziende digitali cinesi non era una fissa di Donald Trump, ma una sfida che richiede una risposta adeguata.

La Farnesina, il governo, tutta la politica italiana devono fare finalmente i conti con la tecnologia cinese. Occorre muoversi in un orizzonte europeo, ma nella consapevolezza che un nuovo asse tra Roma e Washington è la condizione fondamentale per concretizzare il rilancio economico post pandemia e affermare il nuovo prestigio internazionale dell’Italia.

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