Intervista a Stephen Walt, Robert e Renée Belfer professor di Relazioni internazionali ad Harvard e capofila della scuola realista. Con Biden niente pranzi gratis, l’Europa non l’ha capito. Oggi gli Usa guardano a Cina e Pacifico, l’Ue deve saper fare i conti con Russia e Mediterraneo. Draghi? Ora le aspettative sono tornate
Cosa succederebbe se un giorno l’Europa si svegliasse e realizzasse di dover provvedere alla sua sicurezza senza pesare come un macigno sulle spalle degli Stati Uniti? Per Stephen Walt, professore “Robert e Renée Belfer” di Relazioni internazionali ad Harvard e capofila della scuola realista, è uno scenario tutt’altro che remoto. Anche senza l’isolazionista Donald Trump, con il multilateralista e democratico Joe Biden alla Casa Bianca, l’Ue, e l’Italia con essa, dice il professore a Formiche.net, deve “guadagnarsi” sul campo l’alleanza con Washington DC e prendere una più netta posizione nella nuova Guerra Fredda tech con la Cina.
Sorrisi, abbracci, dichiarazioni in coro. A prima vista il primo G7 di Biden è stato un trionfo. E dietro le quinte?
L’atmosfera al G7 è stata molto migliore di quanto non fosse durante l’amministrazione Trump. Per la prima volta dopo anni si è parlato di sostanza, senza questioni personali o incidenti drammatici. Non è un caso se l’immagine degli Stati Uniti nell’opinione pubblica europea è notevolmente migliorata da quando Biden è presidente. Questo non significa certo che ci sia un accordo del 100% fra le due sponde dell’Atlantico.
Il viaggio di Biden è iniziato con la firma di una nuova “Carta Atlantica” in Regno Unito. Perché?
È stato un momento politicamente cruciale più per Boris Johnson che per Biden. La visita ha rilanciato l’immagine di un’Inghilterra tornata ad essere un player mondiale dopo la Brexit, forte di una relazione speciale con gli Stati Uniti. La Carta atlantica in sé pesa poco, nulla a che vedere con quella siglata settant’anni fa, in tempi di guerra. Ma segnala altresì la volontà di un riavvicinamento fra i due Paesi su alcuni dossier, dal cambiamento climatico all’alleanza tecnologica.
Con gli alleati del G7 gli Stati Uniti hanno lanciato un nuovo piano di investimenti per contrastare la Via della Seta cinese. È un contrattacco?
Direi più il segnale palpabile della tensione che si respira verso la Cina, della necessità di trovare un approccio condiviso. I Paesi G7 percepiscono il rischio di un’escalation di aggressività da parte cinese, vogliono offrire al mondo in via di sviluppo, specie agli Stati africani, un’alternativa al modello di Pechino. Fin qui però siamo alle buone intenzioni.
Perché?
La dura verità è che non c’è l’ombra di un accordo. Firmare una dichiarazione è la parte semplice di un G7. Passare ai fatti è un’altra storia. Un conto è difendere a parole il libero mercato, un altro è tagliare i ponti con gli investimenti cinesi nei settori strategici e avviare un processo di decoupling tecnologico. La velocità con cui alcune delle più grandi industrie mondiali si sono adattate alla rottura delle catene di fornitura americane e cinesi dimostra come il problema sia, anzitutto, di volontà politica. Nessuno in Europa, Germania in testa, è disposto a farlo.
Però gli Stati europei si sono detti pronti ad aderire all’ “alleanza delle democrazie” di Biden.
Anche qui, non basta un comunicato. Se Europa e Stati Uniti faticano ancora a trovare un punto di incontro per una nuova partnership per la sicurezza transatlantica è perché rimangono tanti dubbi sulla reale intenzione degli americani di impegnarsi nel Vecchio Continente. Questa amministrazione ha già chiarito che il suo focus principale sarà la regione dell’Indo-Pacifico. Come si può portare a termine un così importante riassetto strategico senza abbandonare, almeno un po’, il quadrante europeo?
Un’alleanza transatlantica sulle tecnologie, invece, è fantascienza?
Siamo ancora molto lontani da un’intesa, ci sono troppi angoli da smussare, a partire da due approcci quasi opposti fra Ue e Stati Uniti nella gestione della privacy digitale e nella regolamentazione delle big tech. Gli alleati europei affrontano questioni come la sicurezza della rete 5G con un approccio economicista, fingendo di non conoscere il vero problema, che è squisitamente politico. E l’Ue non ha ancora fatto una chiara, unitaria scelta di campo.
Questo lunedì è stato il turno del summit Nato a Bruxelles. L’Alleanza è ancora fondamentale per la sicurezza dell’Ue?
Nel breve periodo, diciamo i prossimi cinque anni, l’Ue sarà probabilmente ancora dipendente dalla Nato e vedrà un ruolo americano attivo nella regione, con un coinvolgimento sempre più marcato nel quadrante Sud dove ci sono i veri problemi urgenti per gli Stati europei, dall’immigrazione alla stabilità del Sahel e del Nord Africa fino al Medio Oriente. La Russia resta un problema, ma non è una minaccia imminente, perché non è nelle condizioni di poter invadere militarmente un membro della Nato.
E nel lungo periodo?
Nel lungo termine si pone un altro fondamentale quesito: l’Ue sarà in grado di provvedere da sola alla sua sicurezza? È una domanda che gli europei si devono fare già oggi. Con gli Stati Uniti sempre più proiettati nell’Indo-Pacifico per contrastare la Cina, la Nato potrebbe essere meno dipendente dagli americani. L’America passerebbe da essere “primo soccorritore” a “ultima risorsa” per la sicurezza europea.
Mercoledì Biden incontra Vladimir Putin a Ginevra. Cosa aspettarsi dal faccia a faccia?
Non mi aspetterei alcuna svolta concreta né decisioni improvvise. Come è successo ad Anchorage con i cinesi, le due parti si studieranno e si limiteranno a ridefinire le “linee rosse” da non oltrepassare, così come i singoli settori in cui è possibile cooperare. Per questo Biden ha scelto di fare un incontro a porte chiuse, privato, senza una conferenza stampa o un comunicato congiunto. Questa amministrazione vuole tenere la Russia a debita distanza. Evitando di offrire a Putin una enorme piattaforma per proclamare a gran voce la sua visione del mondo.
Chiudiamo con l’Italia. A Carbis Bay Draghi e Biden hanno mostrato un reciproco feeling. Basta per giustificare la narrazione dell’Italia come “alleato privilegiato” degli Usa o serve qualcosa di più?
A Washington DC Draghi è generalmente percepito come una personalità molto rispettata, sia in Europa che negli Stati Uniti, grazie ai suoi anni alla guida della Bce. La scelta di prendere il governo dell’Italia quando il Paese versava in pessime condizioni e di assumere decisioni coraggiose gli ha fatto guadagnare un enorme capitale politico. Più avrà successo con la ripresa italiana, più avrà peso negoziale di fronte agli altri leader europei e dunque agli Stati Uniti. Negli ultimi venticinque anni gli americani in Europa hanno sempre trattato con Inghilterra, Francia e Germania. L’Italia non ha mai destato grandi preoccupazioni, né grandi aspettative, anche a causa di una cronica instabilità delle istituzioni. Adesso le aspettative sono tornate.