Skip to main content

Carta (atlantica) canta. I piani di Biden letti da Pavel (Acus)

La firma di una nuova Carta Atlantica fra Stati Uniti e Regno Unito apre il rilancio delle relazioni transatlantiche voluto da Biden. Il tour europeo del presidente Usa ruota intorno a due sole cose: Cina e Russia. L’Italia di Draghi ha una carta in più di Merkel. Parla Barry Pavel, direttore dello Scowcroft Center dell’Atlantic Council

Nero su bianco. Il rilancio della Nato ai tempi di Joe Biden inizia con la firma di una nuova “Carta Atlantica” fra Stati Uniti e Regno Unito. Sono passati ottant’anni da quando Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt siglavano al largo della Baia di Terranova la prima “Carta Atlantica”.

Da allora le relazioni fra alleati anglosassoni hanno vissuto alti e bassi, e lo stesso vale per i rapporti fra Ue e Usa. Nei quattro anni di Donald Trump alla Casa Bianca si è sfiorato il fondo. Biden, impegnato in un tour europeo che inizia dal G7 in Cornovaglia, passa per il summit Nato a Bruxelles e finisce mercoledì prossimo a Ginevra dove è in programma un vis-a-vis con Vladimir Putin, vuole risalire la china.

La strada però è più ripida del previsto, dice a Formiche.net Barry Pavel, direttore dello Scowcroft Centre dell’Atlantic Council e già Senior director per le politiche di Difesa al National Security Council con Barack Obama. “Siamo alla vigilia di una nuova era. La special relationship fra Londra e Washington DC non è mai venuta meno durante tutta la Guerra Fredda. Dalla Brexit però si è fatta meno special. Biden ha preso le redini in mano e ha capito che non può fare a meno di Boris Johnson”.

Perché? “Ci sono tanti motivi per ravvivare il legame, dal commercio all’intesa sulla tassazione globale. Ma al centro del riavvicinamento c’è la politica estera. Londra è una sponda fondamentale per contenere l’avanzata cinese e le aggressioni russe in Europa”. La Cina, spiega Pavel, è il vero convitato di pietra del viaggio europeo di Biden. “Il dossier emergerà in ogni, singolo meeting in agenda”.

Su questo fronte la continuità con Trump è evidente. Lo scorso autunno l’ex segretario di Stato Mike Pompeo chiedeva all’Ue di rendere “sistemica” la collaborazione fra alleati Nato sulla Cina. È ancora una priorità: “Biden chiederà agli alleati di muoversi all’unisono di fronte alle sfide poste da Pechino sul piano economico, militare, tecnologico così come per i diritti umani. Dalla risposta europea a questo appello si misurerà il successo o il fallimento del viaggio”.

Le distanze restano. Eppure negli ultimi mesi, nota Pavel, si sono accorciate. “Si deve a una crescente aggressività cinese. La scelta di sanzionare parlamentari e ufficiali dell’Ue, l’atteggiamento dei diplomatici “lupi guerrieri” hanno riavvicinato Stati Uniti e Ue”. Tanto che un accordo per gli investimenti cui la diplomazia di Bruxelles ha lavorato per sette anni di fila, il Cai (Comprehensive agreement on investments) è stato congelato dal Parlamento europeo.

“L’Europa si sta svegliando, lo stesso accade negli Stati Uniti. La legge sulla competitività in chiave anti-cinese approvata da un fronte bipartisan al Congresso ne è la prova. Anche le ultime resistenze all’interno del Partito democratico si stanno esaurendo”.

Di tutt’altra pasta è fatta un’altra sfida, quella posta dalla Russia di Vladimir Putin, impegnata in una nuova escalation nell’Est Europa nel timore di finire soffocata da un allargamento del fronte euro-atlantico all’Ucraina. Per Pavel “la Russia è molto più esplicita”. “Non vuole solo dividere l’Europa, vuole anche occupare una parte del suo territorio, militarmente. Lo ha già fatto nel 2008 in Georgia, poi nel 2014 in Crimea, ora di nuovo con le manovre militari al confine con l’Ucraina orientale”.

Una cosa è certa, ragiona l’esperto americano. Tanto al G7 quanto al summit Nato l’Europa non potrà cantare all’unisono. “Rimangono distanze difficili da colmare, sarebbe utopia aspettarsi un unico spartito. Penso alla Germania alle prese con la questione del gasdotto russo Nord Stream II, una priorità assoluta nei colloqui di Biden. Si dovrà trovare un compromesso”.

Se con Angela Merkel ormai al tramonto la Casa Bianca non è in piena sintonia, diverso è il caso di Mario Draghi, l’uomo calato da Francoforte a Palazzo Chigi con la promessa di fare dell’euro-atlantismo la bandiera del governo di unità nazionale. “L’Italia ha peso economico, potere e influenza nelle dinamiche dell’Ue. Dopo il Regno Unito, ad oggi è l’interlocutore più affidabile – dice Pavel – è una convenienza reciproca, Biden ha bisogno dell’esperienza di Draghi e viceversa.


×

Iscriviti alla newsletter