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Se il regista del centrodestra è (ancora) Berlusconi. Il mosaico di Fusi

Resta il dato politico, sul tentativo di Federazione (o creazione di un partito unico) del centrodestra. Quello di una iniziativa che in un modo o nell’altro rimette al centro dei giochi sempre lui, Berlusconi. Il leader che quel contenitore l’ha inventato e intende continuare a detenerne il copyright

A Silvio toglietegli tutto ma non il predellino. A ottantaquattr’anni suonati, l’ex premier vuole ancora ruggire, gli solletica come nient’altro l’idea di rovesciare tutto – a partire dalla rottamazione della sua creatura, quella Forza Italia prima rispolverata e ora considerata alla stregua di una bad company – e indicare di nuovo l’avvenire radioso e coinvolgente del partito unico del centrodestra.

La rotta è segnata dal rinnovato Commander in Chief e il traguardo sono le elezioni politiche del 2023: liste uniche per riconquistare la cittadella del potere e mandare a palazzo Chigi il rappresentante dei Repubblicani italiani sul modello francese o americano. Nel frattempo c’è il passaggio del Quirinale, e lì il vagheggiamento del maturo leader si fa sicuro desiderio e ultima opportunità.

Solo che sono passati quattordici anni da quell’arringa in piazza che diede vita al Pdl. Sono cambiati gli interlocutori, è cambiato il contesto, sono cambiate le condizioni politiche. Anche se alcuni riflessi condizionati sono rimasti. Per molti giorni, infatti, è sembrato che fosse Matteo Salvini il promotore di uno scatto in avanti che servisse a consolidare la sua leadership e la presa su uno schieramento messa in discussione dalla continua discesa nei sondaggi e, come contraltare inquietante, dalla inversa continua ascesa di Giorgia Meloni. Era sembrato cioè che fosse una mossa del cavallo leghista anche per avvicinarsi ai contenitori europei, a quel Ppe asse della governabilità (e del potere) continentale costretto a rivedere gli assetti interni a causa del tramonto di Merkel. Era sembrata soprattutto una scelta per superare l’assioma in base al quale il partito che prende più voti esprime il candidato premier.

Adesso si capisce (ma qualcuno abituale frequentatore del Cav come Paolo Romani l’aveva annusato subito) che il vero regista dell’operazione stava ad Arcore e non a via Bellerio. E che l’obiettivo principale era smantellare Forza Italia per creare un soggetto più grande e più adeguato alle nuove sfide.

A prima vista, considerate le reazioni gelide di FdI e stizzite del Carroccio, quello dell’ex premier appare un whisful thinking piuttosto che un percorso realistico e abbordabile. Ma proprio il ricordo di quasi tre lustri fa deve fare da bussola. Allora la prima reazione di Gianfranco Fini alla strambata di Berlusconi fu un commento acido: “Siamo alla comiche finali”. Tre anni dopo arrivò il famosissimo “che fai, mi cacci?”: nell’interregno il Pdl prese vita inglobando anche propaggini centriste. Quelle che invece ora Berlusconi rigetta in quanto traditori: niente Toti o Brugnaro, l’unica interpretazione autentica di moderatismo la può offrire solo il Signore di Arcore. Pure stavolta le risposte degli alleati sono liquidatorie. Allora andò in quel modo, adesso chissà: anche se il carisma di Berlusconi si è appannato.

Comunque sia, resta il dato politico. Quello di una iniziativa che in un modo o nell’altro rimette al centro dei giochi del centrodestra sempre lui, Berlusconi. Il leader che quel contenitore l’ha inventato e intende continuare a detenerne il copyright. Mettere sullo stesso piano il tramonto di FI con quello suo personale è un errore, uno strabismo che impedisce di vedere la realtà. Questo il messaggio che Berlusconi vuole trasmettere a Salvini e Meloni e anche ad altri che si muovono nella metà campo opposta. Verosimilmente l’approdo al Quirinale è una utopia che non si realizzerà mai.

Magari alla fine il sunset boulevard forzista trascinerà anche il suo Pigmalione. Quel che è sicuro è che il Cav le carte che ha o ritiene di avere le giocherà fino in fondo. Tutte. Sapendo che è l’ultima mano. Per veder se si tratta di un bluff o di un punto vero, basterebbe che Salvini riprendesse la bandiera della candidatura di Draghi al Colle. Chissà se a tempo debito lo farà.

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