Adolfo Urso è il nuovo presidente del Copasir, il comitato di controllo degli 007 italiani. Dagli esordi con Fini e An al Pdl fino al ritorno con Giorgia Meloni, ecco chi è il senatore di Fdi a Palazzo San Macuto. E tutti i dossier (scottanti) che si troverà sulla scrivania
Nato a Padova, ma il cuore è fra Catania e Acireale. Prima militante, poi giornalista al Secolo d’Italia, 63 anni, una vita in politica. Ora la conferma: Adolfo Urso è il nuovo presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti. Al momento del voto a Palazzo San Macuto ha ricevuto sette preferenze su dieci. Via libera preannunciato da Pd (Enrico Borghi) e Cinque Stelle (Federica Dieni, Francesco Castiello, Maurizio Cattoi), ma anche da Italia Viva (Ernesto Magorno) e da Forza Italia, con gli azzurri Claudio Fazzone e l’amico Elio Vito, tornato dopo le dimissioni proprio in solidarietà con il senatore di Fratelli d’Italia.
Assenti i due componenti della Lega, l’ex presidente Raffaele Volpi e il senatore Paolo Arrigoni, perché la formazione del comitato “non risponde alla legge”, mugugna Matteo Salvini dopo mesi di tiro alla fune con Giorgia Meloni per la presidenza. Si chiude così uno stallo inedito nella storia del Copasir. Da febbraio, quando a Palazzo Chigi è entrato Mario Draghi, non c’è stato un attimo di pace. Sedute sospese, poi riprese a tentoni, dunque di nuovo saltate.
Lui, Urso, ritirato in un lungo Aventino in protesta con la Lega, che fino al 20 maggio non ha voluto lasciare la presidenza, anche se una legge, la 124 del 2007, la affida esplicitamente all’opposizione. Lì, sul colle, sono saliti in processione a decine fra giuristi, politologi, ex presidenti della Consulta e magistrati, e poi i vecchi presidenti di Camera e Senato, da Marcello Pera a Laura Boldrini. Perfino Gianfranco Fini ha interrotto un interminabile silenzio per accorrere in aiuto del vecchio amico, che di Alleanza Nazionale è stato a lungo una colonna, fino a lasciarla nel 2011, poco dopo la rottura con Silvio Berlusconi, per riabbracciare, due anni dopo, le truppe di Meloni&Co.
Ci hanno pensato Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, dopo qualche esitazione, a sbloccare l’impasse. Con una lettera che ha messo i bastoni fra le ruote alla strategia leghista. No, le dimissioni di Volpi e Arrigoni non sono valide, finché il Carroccio non indica due sostituti. E sì, il comitato può riunirsi per eleggere il presidente. Così è stato, e adesso il Copasir è pronto a ripartire, con un clima tutt’altro che disteso e una mole di lavoro arretrato.
Sono tanti i dossier che hanno preso polvere su quel tavolo, rimasti in sordina mentre fuori impazzava la polemica. Figurarsi che, in quattro mesi, non c’è stato il tempo di fare il punto con i Servizi dell’Aise sull’omicidio in Congo dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci. Fra i tanti convocati in lista d’attesa ci sono anche Rocco Casalino e Giuseppe Conte, cui il comitato deve chiedere spiegazioni di quell’insolito e poco ortodosso viaggio alla corte di Khalifa Haftar per ringraziare il feldmaresciallo libico della liberazione di 18 pescatori italiani tenuti in ostaggio, per tre mesi.
E poi i sommovimenti nell’intelligence, che vive una fase di grande rinnovamento sotto l’occhio vigile dell’Autorità delegata Franco Gabrielli e della nuova direttrice generale del Dis Elisabetta Belloni. C’è il caso Renzi-Mancini sollevato da Report, oggetto di un’indagine interna agli 007 chiesta proprio dal Copasir. C’è la nuova agenzia per la cybersecurity, con un decreto pronto a finire in Cdm. Più in là, nei mesi a venire, un’indagine conoscitiva sul settore energetico italiano.
Insomma, c’è un bel da fare per il comitato e per Urso, che per la prima volta porta in casa della destra italiana la guida del Copasir. Sicurezza e geopolitica sono due vecchissimi pallini del senatore più vicino alla Meloni. Dal 2007 se ne occupa con la Fondazione FareFuturo, di cui è presidente e fondatore. Un cenacolo che nel tempo ha riunito fior fior di esperti, accademici, vecchi e nuovi volti dei palazzi romani, di destra, sinistra e centro. Nell’ultimo rapporto annuale spuntano firme come Giulio Tremonti e Ernesto Galli Della Loggia, Giulio Sapelli e Domenico Arcuri.
Tanta società civile, per costruire “il partito della nazione”, espressione di democristiana memoria con cui Urso immagina il nuovo corso di Fratelli d’Italia. Una scommessa ben piazzata, se è vero che nel giro di tre anni la creatura della Meloni è passata dal 4% al 20% e ora punta alla leadership del centrodestra. La destra-destra, con quei numeri, non basta più.
Ci crede Urso, che già ai tempi della militanza di An si era fatto conoscere come un moderato e fu tra i primi promotori della svolta di Fiuggi. Viceministro al Commercio nel terzo governo Berlusconi, nel 2008 un altro passo al centro, co-fondatore del Popolo delle Libertà, prima di tornare a casa cinque anni dopo.
In mezzo due anni di pausa, dal 2011 al 2013, a fare l’imprenditore con la Italy World Services, società che “fornisce consulenza e assistenza per le imprese italiane all’estero”, spiega Urso sul suo sito. La stessa società finita al centro del polverone sollevato dai leghisti sull’uscio del Copasir perché, accusa Salvini, fra i Paesi con cui ha fatto affari c’è anche l’Iran degli ayatollah e “con Israele sotto attacco” la Lega “non darà mai sul consenso a un amico dell’Iran”. Urso ha sempre negato il legame, e anzi è passato al contrattacco, riempiendo i social di foto insieme a Shimon Peres, Ariel Sharon ed Ehmud Olmert, per poi sfilare alla manifestazione a sostegno dello Stato ebraico dopo gli attacchi di Hamas, “Israele è il nostro baluardo di libertà”.