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La Cina spegne il Bitcoin e spiana la strada allo yuan digitale

In poche ore uno-due micidiale del Dragone alla moneta virtuale. Prima lo stop alle transazioni in criptomoneta imposto alle banche, poi l’annuncio che il 90% delle aziende estrattrici verrà chiusa, con conseguente esodo in Texas. Al netto del crollo del valore (-7%) ora la geografia globale del Bitcoin verrà ridisegnata

Game over. L’avventura del Bitcoin in Cina potrebbe essere già ai titoli di coda e senza lieto fine. Non è certo un mistero il fatto che la criptovaluta più famosa del mondo, negli ultimi tempi legata a doppio filo agli umori di Elon Musk, patron di Tesla, non sia mai andata a genio al governo della Repubblica Popolare. Adesso però, dopo mesi settimane di minacce, avvertimenti, strette regolatorie, si passa a un altro livello, o meglio all’offensiva finale.

BITCOIN COLPITO AL CUORE

E così, nel giro di 48 ore il Dragone ha rifilato alla criptomoneta diventata moneta legale nello Stato di El Salvador ma messa ufficiosamente al bando dalla Banca centrale europea, un uno-due micidiale. Prima il diktat alle grandi banche cinesi, affinché blocchino qualunque transazione in criptomoneta. Poi, la messa fuori legge, stavolta sul serio, dei miners, gli estrattori di moneta il cui funzionamento comporta un dispendio di energia notevole, unito alla necessità di sistemi di raffreddamento adeguati, al punto di essere equiparato, su scala globale, all’intero fabbisogno argentino.

Partendo dal primo missile lanciato da Pechino, la banca centrale cinese, la Pboc, ha ordinato a diverse istituzioni finanziarie, compresa quella Alipay di Jack Ma già demolita in parte dalle stesse autorità dell’ex Celeste Impero, di identificare i conti attivati da loro che supportano il trading delle cripto e bloccarne tutte le transazioni. Tradotto, dalle banche del Dragone non passerà più un solo Bitcoin.

Più nel dettaglio, la Pboc ha esortato le istituzioni finanziarie del Dragone (anche le assicurazioni) ad avviare controlli approfonditi sui conti dei clienti per identificare coloro che sono coinvolti nelle transazioni di criptovaluta e bloccare prontamente i loro canali di pagamento. E questo perché “il commercio speculativo di valute virtuali sconvolge l’ordine economico e finanziario, genera i rischi di attività criminali come i trasferimenti illegali di beni e il riciclaggio di denaro sporco e mette in pericolo la ricchezza delle persone”, ha chiarito la banca centrale in una nota.

DALLA CINA AL TEXAS

Poi c’è la grande cacciata dei miners, operazione che più di tutti rischia di porre fine all’avventura cinese del Bitcoin e questo per un motivo molto semplice: tra il 65 e il 75% dell’estrazione mondiale di criptomoneta avviene in Cina. Almeno fino ad oggi, dal momento che molte “miniere” di Bitcoin nella provincia del Sichuan sono state chiuse già fin da domenica, dopo che le autorità locali hanno ordinato di fermare tutte le attività. Ma è solo il preludio, perché l’obiettivo finale del Dragone è bloccare circa il 90% della capacità estrattiva nel Paese.

Anche altre regioni hanno bandito il mining: lo Xinjiang e le provincie di Qinghai e Yunnan. Nella Mongolia interna, oltre al divieto, è stato chiesto alla popolazione di segnalare le attività di mining illecite.

Insomma, una guerra che oltre a causare il crollo verticale del valore di Bitcoin (-7% in poche ore, a 26 mila dollari) ha portato gli stessi operatori del settore a valutare la possibilità di trasferirsi all’estero insieme alle loro macchine, con destinazione Texas. L’esodo per la verità è già in atto e potrebbe trasformare lo stato americano nella nuova fabbrica mondiale di Bitcoin, dal momento che il Texas è molto appetibile agli occhi dei miners grazie ai costi dell’energia che offre, tra i più bassi al mondo.

Ora, c’è da chiedersi se con la fine dell’epopea cinese del Bitcoin, si vada incontro a una crisi globale della criptovaluta (oggi stesso, la società americana Microstrategy, come riportato da criptovaluta.it ha formalizzato l’acquisto di mezzo miliardo di Bitcoin, portando il suo portafoglio a un controvalore di 3 miliardi di dollari)

L’ORA DELLO YUAN DIGITALE

Per una moneta che viene estromessa però, ce ne è un’altra che viene lanciata. Oltre ad essere dettata dall’idea di porre fine alle speculazioni finanziarie innescate dalle criptovalute, la repressione della Cina ha chiaramente lo scopo di incentivare i propri cittadini a utilizzare lo yuan digitale. Visto e considerato che, grazie al fatto di essere già stata testata in progetti pilota su larga scala, la moneta virtuale ma con corso legale ed emessa dalla stessa Pboc, risulta decisamente in vantaggio rispetto ai suoi concorrenti: l’euro e il dollaro digitale.


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