Nel suo progetto di rifondazione del M5S, Conte dovrebbe esprimere una politica estera fondata sui valori. Per esempio l’auspicio che in Cina siano tutelate le libertà civili e religiose. Il commento di Marco Mayer
Il professor Francesco Sisci, docente di geopolitica alla Luiss nonché autorevole sinologo di rilievo internazionale, ha spiegato che negli ultimi tre anni l’Italia ha aperto male alla Cina perché non ha valutato le grandi tensioni geopolitiche che si stavano delineando a livello mondiale (e che in alcuni momenti hanno assunto e stanno assumendo toni da Guerra fredda).
Sisci ha poi aggiunto un’osservazione che merita un approfondimento specifico: “Alcuni leader del M5s, partito di maggioranza relativo, e la Cina sono diventati poco chiari e di fatto minano la stessa maggioranza”. E di conseguenza “di fatto minano la stessa maggioranza” che sostiene il governo Draghi”.
Non ho elementi per valutare se il rischio paventato da Sisci sia reale. Certo durante il governo Conte 2 alcuni tra gli esponenti grillini dell’esecutivo hanno partecipato con entusiasmo a eventi promossi da colossi tecnologici cinesi suscitando un po’ di sconcerto in ambienti militari nonché qualche preoccupazione in ambito Nato.
Il tema non riguarda solo le note simpatie cinesi di Beppe Grillo e dei parlamentari a lui più vicini. Giuseppe Conte nella sua conferenza stampa di ieri ha preferito glissare quando un giornalista gli ha fatto una domanda sulle posizioni filocinesi di Grillo e sulla politica estera italiana nei confronti di Pechino.
In questa fase così confusa non sarebbe male se i partiti della maggioranza (Paritto democratico e Forza Italia in particolare) sollecitassero un chiarimento con i 5 stelle sulla questione cinese.
Il nodo da sciogliere in fondo è molto semplice. Per il Movimento 5 stelle le scelte recenti compiute dal politburo del Partito comunista cinese sono o non sono preoccupanti?
Va bene abolire la libertà di stampa a Hong Kong? Va bene perseguitare la minoranza degli uiguri nello Xinjiang? Va bene sostenere il golpe militare in Birmania e il regime della Corea del Nord? Va bene la soffocante sorveglianza di massa messa in atto dal Partito comunista cinese utilizzando le più avanzate tecnologie digitali?
Intendiamoci in politica estera il realismo è un must. Forme di dialogo e di cooperazione bilaterale e multilaterale (economiche e culturali) tra l’Italia e la Cina sono utili e necessarie. Nel rispetto della cornice euroatlantica e nell’ambito della presidenza italiana G20 si tratta di individuare in quali settori e in quale forme l’Italia può utilmente collaborare con il regime di Pechino.
Ma l’aspetto inspiegabile dei leader del Movimento 5 stelle – che di solito non hanno peli sulla lingua – è la paura di prendere posizione. Perché per loro è così difficile affermare pubblicamente che in Cina ci sono alcune cose che non vanno?
Grillo sul suo blog è arrivato al punto di negare la tragedia degli uiguri, crisi documentata da decenni.
Anche la reticenza di Conte non è facile da spiegare. Non sarebbe male che esprimesse, nel suo progetto di rifondazione del Movimento, una visione lungimirante in materia di politica internazionale, una visione fondata su grandi valori; per esempio l’auspicio che in Cina siano tutelate le libertà civili e religiose.
Per quanto tempo ancora il Papa dovrà negoziare con il governo di Pechino la nomina di ogni singolo vescovo? Per quanti anni in Cina i diritti delle minoranze saranno sistematicamente violati? Più che preoccuparsi della diatriba Grillo-Conte la comunità dei 5 stelle dovrebbe rivendicare con orgoglio una politica estera fondata sui valori e sui diritti umani (e non solo sugli interessi economici) raccogliendo la sfida della nuova politica estera inaugurata da Joe Biden. È chiedere troppo?