Il 2020 è stato uno degli anni peggiori vissuti dall’Italia sul piano economico e sociale dalla fine della II Guerra mondiale. Dopo aver registrato una caduta rilevante del Pil, il Paese si è avviato verso la ripresa economica fin dalla seconda parte dell’anno e, più nettamente, nei primi mesi del 2021. Giancarlo Elia Valori analizza i dati dell’ultima relazione Consob
Ci sembra doveroso analizzare l’attenta analisi effettuata dalla relazione della Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob) sull’anno 2020, onde trarre le conseguenze derivate dalla pandemia che ha afflitto il nostro Paese a partire dal principio del predetto anno.
Il 2020 è stato uno degli anni peggiori vissuti dall’Italia sul piano economico e sociale dalla fine della II Guerra mondiale. Dopo aver registrato una caduta rilevante del Pil, il Paese si è avviato verso la ripresa economica fin dalla seconda parte dell’anno e, più nettamente, nei primi mesi del 2021, e mostra volontà propria di affrontare i problemi irrisolti, anche avvalendosi del mutamento di attitudine di politica fiscale dell’Ue, necessario fondamento della coesione tra Paesi membri.
I risultati dell’anno hanno confermato la valutazione che il risparmio e le esportazioni sono i due pilastri della forza sociale ed economica del Paese. La tutela del risparmio svolta dalle istituzioni pubbliche segue regole sperimentate e perfezionate nel tempo, che tuttavia richiedono un aggiornamento alla luce delle innovazioni tecnologiche in ambito finanziario; la protezione più solida resta però il suo ancoraggio all’attività reale, il cui procedere è plasmato in Italia dall’andamento delle esportazioni. I consumi privati e la spesa pubblica mostrano invece di non possedere da noi la spinta che hanno in altre importanti economie mondiali.
Uno dei pochi chiari che si evince dalla relazione è che il saggio di risparmio delle famiglie italiane rispetto al reddito disponibile è cresciuto nell’anno del 50%, ove si escludano i risparmi investiti nelle società quotate, il suo rendimento è restato piuttosto basso, prossimo a zero.
Considerata la consistenza di attività finanziarie in mano alle famiglie italiane, ogni punto percentuale di remunerazione si può stimare nell’ordine di circa 30 miliardi di euro, quasi il 2% del Pil, la dimensione di una buona manovra di bilancio pubblico del passato.
Tenuto conto degli oneri di gestione, il risparmio ha contribuito significativamente a sostenere la stabilità dei mercati, senza però aver prodotto la crescita reale, anche se questo effetto è oggi il risultato di una crisi insorta per motivi peculiari e contingenti.
Le esportazioni hanno registrato difficoltà, riducendosi in volume di circa un settimo rispetto al 2019, per il concomitante effetto della discesa della domanda mondiale e degli ostacoli alla produzione interna dovuti alla quarantena.
Le importazioni hanno avuto un calo più marcato, consentendo al saldo del conto corrente della nostra bilancia estera di rimanere positivo, incrementandosi lievemente rispetto al Pil.
Nell’anno la posizione patrimoniale verso l’estero dell’Italia è migliorata ulteriormente, presentando un attivo per la prima volta dopo tre decadi. Il mercato finanziario internazionale ha registrato solo parzialmente questa favorevole posizione strutturale del Paese.
Nel primo trimestre del 2021 il commercio mondiale si è portato a livelli superiori a quelli pre-crisi e le nostre esportazioni sono continuate a tassi di crescita doppi rispetto a esso, a conferma della resilienza e della dinamicità delle nostre imprese del settore: arco di volta tradizionale della nostra economia.
Pure il saldo del conto finanziario con l’estero, che aveva registrato un lieve saldo negativo nel 2020, è divenuto positivo, a conferma della funzione di pilastro della stabilità del nostro risparmio: ulteriore punto di forza italiano.
La fiducia nelle capacità di reazione dell’economia del Bel Paese è cresciuta, come testimonia la significativa riduzione dello spread tra i tassi dell’interesse dei Btp e Bund. Tale risultato è anche frutto delle decisioni prese dalla Bce di acquistare volumi significativi di titoli pubblici e dalla Commissione europea di sospendere, anche se temporaneamente, il Patto di stabilità e di lanciare il Piano Next Generation EU (Ngeu).
La relazione qui in esame afferma che per la prosecuzione della fase di rilancio dell’attività produttiva è però necessario integrare le decisioni finora prese per incentivare il capitale di rischio delle imprese al fine di migliorare la loro leva finanziaria e renderle più disponibili a intraprendere nuove iniziative.
Tale fase offre un’occasione importante la riforma del fisco sollecitata da tempo e ribadita nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in attuazione del Ngeu.
L’intervento dello Stato per fini sociali ha raggiunto forme e livelli inusuali, senza però attenuare la pressione sulle risorse pubbliche da parte dei cittadini; ciò non deve sorprendere perché il contenuto razionale dell’azione umana spinge a scegliere di ottenere il migliore risultato al minor costo.
Le imprese private, soprattutto se esportatrici, sono state costrette dalla concorrenza a risolvere i propri problemi senza indugi, pena l’esclusione dal mercato; questa loro capacità rappresenta un cardine della crescita e un fondamento del buon funzionamento del sistema democratico, che ha il potere di correggere la distribuzione del reddito determinata dall’attività produttiva e commutativa attraverso regolamenti, imposte e tasse.
Quando, invece, queste forme sono insufficienti e il risparmio non viene utilizzato dai privati, lo Stato ricorre all’indebitamento, non sempre però a seguito di una fondata valutazione degli effetti redistributivi intergenerazionali.
A questo proposito la relazione insiste che sulla base del metro offerto dalla leggi in vigore, non è più possibile distinguere, con certezza tecnica e giuridica, in che cosa oggi consistano legalmente la moneta e i prodotti finanziari, un contenuto che si presenta interrelato per la connessione garantita dalle piattaforme di conversione tra strumenti virtuali e tradizionali.
Il mercato usa un metro diverso da quello della normativa esistente, che richiede di essere in questa integrato. L’attività in forme mobiliari che si svolge nel campo delle informazioni finanziare va sempre più interferendo anche con le relazioni internazionali e gli equilibri geopolitici, la cui stabilità riveste un ruolo importante per gli scambi con moneta e fondi nominali, soprattutto a seguito del peso crescente che essi hanno in un ambiente politico non più al meglio dei risultati di pace e prosperità raggiunti nell’ultimo trentennio di integrazione e cooperazione tra Stati.
Però la volontà espressa in più sedi dalle autorità di governo di voler cogliere le opportunità delle innovazioni tecnologiche che gestiscono gli spostamenti e gestioni di capitali non va intesa come un’accondiscendenza verso la perdita di trasparenza del mercato, ma la volontà di un suo recupero facendo uso delle stesse innovazioni finanziarie.
Perciò l’attitudine favorevole alle nuove tecniche va accompagnata con norme chiare sulla nascita e sugli scambi degli strumenti criptati e sui loro intrecci tra attività/passività monetarie e finanziarie tradizionali, siano esse già digitalizzate o meno, come guida indispensabile per gli operatori che gestiscono la liquidità e i risparmi.
La diffusione degli strumenti virtuali ha sollecitato la nascita delle “piattaforme tecnologiche” che consentono modalità di accesso ai servizi di pagamento e di negoziazione in titoli più rapide e meno costose rispetto a quelle offerte dalle banche e dagli altri intermediari.
Ma bisogna fare attenzione in quanto le funzioni di custodia e scambio da esse inizialmente svolte si sono evolute per accogliere operazioni sempre più articolate e complesse, ivi incluse la concessione di crediti garantiti da propri o altrui strumenti virtuali o la stipula di contratti derivati usando come collateral le criptovalute (Altcoin, Crypto token, Stabe coin, Bitcoin, INNBC, ecc.), anche per più operazioni dello stesso tipo.
Questi nuovi comparti del mercato sono in rapida evoluzione e sembra pericolosamente ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il Pil globale.
Pur con le dovute distinzioni, è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali, soprattutto criptati.
L’uso di questi strumenti nelle forme chiuse all’esterno dei partecipanti all’iniziativa (permissionless) preclude una vigilanza privata (come quella svolta dai collegi sindacali e dalle società di certificazione) o pubblica (da parte delle autorità di vigilanza). Senza presidi adeguati (norme ed enti), ne consegue un peggioramento della trasparenza del mercato, fondamento della legalità e delle scelte razionali degli operatori.
Tra gli effetti negativi ben conosciuti vi è la schermatura che queste tecniche consentono ad attività criminali, come l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo e il sequestro di persone. La concentrazione nel possesso di criptovalute che è stata recentemente accertata, può riflettere questo aspetto del problema.
Per l’Italia il problema sollevato presenta una notazione particolare rispetto agli altri Paesi per l’esistenza di una norma a livello costituzionale che attribuisce alla Repubblica il compito di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme e di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito.
Sarebbe improprio se si assegnasse alla specificazione del “risparmio in tutte le sue forme” e al credito da proteggere un contenuto che abbracciasse anche gli strumenti virtuali, senza passare da una specifica regolamentazione.
Se accadesse una cosa simile, la responsabilità per le conseguenze patite dai risparmiatori potrebbe ricadere sullo Stato, come già accaduto in passato, a causa della legittimazione silente o palese della loro esistenza e la coscienza che attraverso le innovazioni finanziarie si possono realizzare manipolazioni del mercato e conseguente rovina dei risparmiatori.
Perciò l’esistenza e il funzionamento di un sistema di sicurezza, anche se lasciato ai privati, deve essere garantito e presidiato dallo Stato, che deve però tenere presente che la diffusione delle tecniche digitali nella finanza pone esigenze specifiche che vanno affrontate globalmente, pena la riduzione della sua efficacia.
La legittimazione in varie forme dell’esistenza del “risparmio virtuale” è ormai una realtà che si incrocia con il risparmio generato in modo tradizionale, ossia senza spendere una quota del reddito prodotto dal lavoro o dal capitale.
Ci troviamo di fronte a mutamenti radicali che vanno affrontati con piena coscienza dei contenuti e urgenza di loro soluzione per evitare conseguenze negative sulla stabilità micro e macro sistemica del mercato mobiliare e, per questa via, sui risparmi e sulla crescita economica necessaria per proteggerli e ben utilizzarli.
Un passaggio obbligato è la riconferma che la validità legale dei contratti è garantita solo dalla loro denominazione in moneta sovrana. Se, come sembrerebbe, si intende riconoscere l’esistenza di monete private, gli utenti devono esplicitare in un’apposita clausola contrattuale di essere consci dei rischi che si accollano facendo uso di monete non pubbliche.