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Da Shakespeare a Draghi. Radiologia del potere (e dei suoi eccessi)

L’analisi del pensiero di Shakespeare, il potere come rappresentazione figurata e letteraria. Follini, Cassese e Fusini dialogano sui testi “Il potere o la vita” e “Voto Shakespeare” nell’ultimo incontro dei Dialoghi di Pandora Rivista in collaborazione con Formiche e Cultura Italiae

L’analisi del potere e le sue forme. La teatralità di Shakespeare e i panneggi di Holbein. Dalla rappresentazione plastica alla tragicommedia, un tuffo nel XVI secolo e una risalita alla contemporaneità. Se l’obiettivo dell’incontro organizzato nella rassegna dei Dialoghi di Pandora Rivista, in collaborazione con Cultura Italiae e Formiche, era quello di scandagliare la complessità e il significato del potere, possiamo dire che è stato raggiunto. E la tematica, per quanto possibile, sviscerata. Complice anche un parterre di ospiti di tutto rispetto: dalla docente Nadia Fusini, approdata nuovamente nelle librerie di recente con ‘Il potere o la vita’ (il Mulino), Marco Follini, già vice presidente del Consiglio e autore di ‘Io voto Shakespeare’ (Marsilio). Poi Sabino Cassese, giurista, accademico e presidente emerito della Corte Costituzionale.

‘Il potere o la vita’, suona quasi come una minaccia, il titolo del testo di Fusini. Eppure, la correlazione tra il pittore alla corte di Enrico VIII e l’Amleto è proprio “il potere”. Sì perché in Shakespeare il potere “è indagato in molteplici forme, e assume diverse sfumature”. In fondo però “il potere è la capacità di pensare, di poter essere. E questa forma di esercizio del potere è rappresentato “dagli ambasciatori, dipinti a figura piena. Un simbolo del Rinascimento, la potenza di un soggetto tipicamente umanista”.

Una forma di esercizio di potere che sembra non avere limite ma che, a ben guardare, trova il suo confine nel quadro stesso. “C’è una macchia indecifrabile: un soggetto che minaccia il potere stesso. Ed è il teschio”. Soggetto che Fusini interpreta come “rappresentazione del confine del potere: chi osserva il quadro vive una doppia condizione. Di potenza e impotenza allo stesso modo”.

Tuttavia nelle parole del drammaturgo britannico, a detta della docente, “il potere assume anche la forma di anelito verso la libertà. In fondo potere è libertà”. Vivere non sopravvivere. La dimensione autentica del fare. Una prospettiva in netta contraddizione con l’esercizio del potere attuale che, per converso, “rifiuta la competenza e il saper fare”.

L’analisi di Cassese è impietosa ma realista e poggia su un assunto: “Oggi assistiamo a un potere che si esercita in una democrazia che rifiuta l’epistocrazia. La politica è basata sull’istantaneità, non è duratura. Si fanno proposte quotidiane, ma non si strutturano dei programmi. La gestione ha tutte le caratteristiche dell’immediatezza, della spettacolarizzazione. Insomma quello attuale è un potere non riflessivo”.

Un susseguirsi di slogan, un concentrato di proclama senza fondamento. In buona sostanza, dice il giurista, “il contrario di quanto dovrebbe prevedere l’esercizio del potere”. Specie perché, rifiutando l’idea di competenza, “è venuto meno qualsiasi tipo di requisito di accesso all’esercizio del potere. Aspetto quest’ultimo che ha ripercussioni enormi sul Paese”. La conclusione tuttavia è che nella contemporaneità, “il potere nasce limitato, sia nel tempo che nel suo esercizio”.

A Follini, incalzato dal moderatore Alessandro Strozzi, presidente di Cultura Italiae, è affidato il compito più arduo: azzardare un parallelismo tra i personaggi di Shakespeare e i politici italiani. Con una classe degna dei migliori schermidori l’ex esponente dell’Udc, dopo un colpo di fioretto urbi et orbi alla classe politica, esce dall’assise.

Sancendo che “il Presidente della Repubblica Sergio Matterella potrebbe essere assimilato allo stesso Shakespeare: lo sceneggiatore fuori dalla contesa politica che prepara lo spettacolo senza mai calcare le scene”. Mentre invece il premier Mario Draghi “è assimilabile alla figura di Tommaso Moro”. Q

Quello che colpisce del più grandi fra gli scrittori anglosassoni, chiude Follini, “è l’attualità della scrittura e delle dinamiche che descrive Shakespeare. Mi sono sempre chiesto quale in effetti sia il limite del potere. E, vivendolo dall’interno, posso dire che il potere non è mai così forte come noi ce lo raffiguriamo: il potere visto da dentro è meno capace di realizzare cose rispetto quanto in realtà non si creda”. D’altra parte la consapevolezza dei limiti dell’esercizio del potere “è l’elemento dei leader vincenti”.

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