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Dove vuole andare il Movimento 5 Stelle? La bussola di Ocone

Tanti nodi da sciogliere nel Movimento, con nessuno che voglia farlo, rischiando. Di qui l’immobilismo, la stasi, la sospensione. L’impressione che sarà l’elettorato a farlo, quando sarà, andando di forbice. La rubrica di Corrado Ocone

Il Movimento Cinque Stelle è da qualche mese, cioè da quando è caduto il secondo governo di Giuseppe Conte, in una sorta di limbo, di sospensione. Che l’appoggio al nuovo governo sia dai più mal sopportato, è evidente. Che non si abbia la volontà o non si possa staccare la spina, è altresì un dato di fatto. Non si tratta solo di potere perso: né solo della consapevolezza di esserselo fatto sfuggire pur avendo, forte dei numeri parlamentari, governato per tutta la prima parte della legislatura.

È piuttosto un vuoto di idee; la presa d’atto che quelle poche che che si avevano erano irrealizzabili e velleitarie, non facevano i conti con il “principio di realtà”; la consapevolezza che la strada da seguire ora non è chiara ma che comunque sulla scelta di una qualsiasi via netta e precisa non ci sarebbe unità, mentre c’è invece già ora una strisciante e accesa rivalità fra i leader e i gruppi. L’unico dato certo, l’avvenuta rottura con la Casaleggio & associati, poteva essere l’occasione per mettere in discussione la principale delle basi ideali e mitologiche su cui ci si era fondati: la democrazia diretta.

E invece la piattaforma Rousseau sarà semplicemente sostituita da un’altra e simile, il cui unico scopo sarà anche questa volta quello di certificare (in maniera più o meno trasparente) decisioni prese altrove, in alto, prima. Un autoinganno o una sorta di ritualità totemica. Come è stato, d’altronde, scelto Conte? E soprattutto deciderà di testa sua, una volta alla guida del Movimento, o si affiderà al voto elettronico? La risposta è ovvia.

Così come è ovvio che sarà sempre più difficile capire cosa voglia e dove voglia andare il Movimento. Al centro, in un’area moderata come si converrebbe alla personalità del leader in pectore? Ma allora come tenere a bada l’ala movimentista, di cui sembra che Conte non possa e non voglia fare a meno? E quanto conterà Grillo?

Avrà ancora il potere di scegliere autonomamente leader e linea? E, se così fosse, non potrebbe accadere che, proprio come lo ha scelto, così possa da un momento all’altro deporre il leader del partito? E sulla linea politica, quanto autonomia avrà l’ex presidente del Consiglio? Potrà opporsi agli sbandamenti in politica estera, in sostanza al flirt cinese del garante? E cosa succederà quando il governo dovrà riformare la giustizia, perché ce lo chiede l’Europa, in una direzione completamente opposta a quello che vorrebbe il corpo duro del Movimento, e che sembrerebbe volere lo stesso Conte sempre più legato a filo stretto ideologico con Marco Travaglio?

Il Fatto è oggi forse l’unico foglio di opposizione al governo Draghi, ed è evidente che su questa strada vorrebbe portare Conte. Il quale di suo ha pure motivi di rancore personale nei confronti del nuovo inquilino di palazzo Chigi. Tante incognite e contraddizioni, quindi. Tanti nodi da sciogliere, con nessuno che voglia farlo, rischiando. Di qui l’immobilismo, la stasi, la sospensione. L’impressione che sarà l’elettorato a farlo, quando sarà, andando di forbice. Un Movimento ridotto a modesta percentuale avrebbe allora solo due scelte: o la testimonianza nostalgica di un’idea che non è mai maturata; oppure essere una ruota di scorta per qualsiasi governo moderati e centristi. Più che Conte, potrebbe però essere Di Maio ad interpretare bene questo secondo ruolo.


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