Convincere altre nazioni ad accollarsi una congrua quota delle persone che sbarcano in Italia è l’impresa più ardua per il presidente del Consiglio tanto che nelle bozze del documento finale non c’è traccia di un accordo in questo senso. Il punto di Stefano Vespa
Visto che siamo nel periodo del campionato europeo di calcio, nel Consiglio europeo di oggi e domani Mario Draghi spera di strappare almeno un pareggio sul tema dell’immigrazione perché una vittoria sembra impossibile e una sconfitta sarebbe indigeribile. Da mesi i vertici degli organismi comunitari e i leader di alcune nazioni a parole danno ragione all’Italia mentre altri, soprattutto del Nord e dell’Est Europa, respingono al mittente le richieste di condividere il peso dei flussi migratori che grava solo sui Paesi di primo approdo, in particolare Italia, Spagna e Grecia.
I TEMI SUL TAVOLO
I temi in discussione sono tre: la redistribuzione dei migranti, l’uso dei fondi per la cooperazione internazionale e la questione Libia-Sahel. Convincere altre nazioni ad accollarsi una congrua quota delle persone che sbarcano in Italia è l’impresa più ardua per il presidente del Consiglio tanto che nelle bozze del documento finale non c’è traccia di un accordo in questo senso e anzi è probabile che il semplice piano d’azione sui Paesi di origine e transito delle migrazioni sarà rinviato al prossimo autunno, dopo l’ennesima estate di sbarchi. Né è chiaro quanto potrà influire “un’azione urgente” in caso di necessità come l’Italia ha chiesto di aggiungere.
LA PANDEMIA AUMENTA I FLUSSI
Come ha rilevato l’Ispi nel suo ultimo report sul tema, la pandemia sta avendo l’effetto opposto a quello sperato l’anno scorso quando l’isolamento nel quale si erano rinchiusi alcuni Paesi li faceva sperare in un minore flusso. Invece il Covid ha acuito la crisi economica provocando un ancora maggiore numero di partenze. Draghi può contare sulla solidarietà del primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, e sulla parziale comprensione di Francia e Germania. Se da un lato sembra esserci un’intesa tra Italia, Spagna, Malta, Romania, Francia e Germania, Emmanuel Macron e Angela Merkel devono tenere conto degli appuntamenti elettorali del prossimo anno.
RICOLLOCAMENTI SOLO VOLONTARI
Il grande ostacolo è che il ricollocamento può essere solo volontario. Lo è da tre anni, da quando nel Consiglio europeo del giugno 2018 il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, pretese e ottenne di modificare la precedente obbligatorietà nonostante la quale dall’Italia era stato ricollocato solo un terzo dei circa 36mila migranti previsti dagli accordi. La situazione politica si è ulteriormente ingarbugliata e Draghi ne è consapevole tanto che ieri in Parlamento ha detto che “al momento una solidarietà obbligatoria verso i Paesi di primo arrivo attraverso la presa in carico dei salvati in mare rimane divisiva per i 27 Stati Membri. Serve un’alternativa di lungo periodo, per fare in modo che nessun Paese sia lasciato solo”.
SOLDI NON SOLO ALLA TURCHIA
Dei circa 8 miliardi di euro del fondo per il vicinato destinati alle migrazioni, buona parte potrebbe essere destinata a rinnovare l’accordo con la Turchia che finora ha incassato 6 miliardi per accollarsi i circa 4 milioni di profughi siriani presenti nel suo territorio. Una ben nota arma di ricatto per Recep Tayyip Erdoǧan sulle imminenti elezioni tedesche che non rendono conveniente un nuovo massiccio arrivo di stranieri. Se dunque l’Unione europea dovesse stanziare molti più miliardi, come potrebbero essere usati gli altri? L’Ispi ricorda che per modificare il Regolamento di Dublino serve l’unanimità dei 27 membri (altro regalo del Consiglio europeo del 2018), quindi il concetto “denaro in cambio di rifugiati” sembra l’unico applicabile.
LIBIA E SAHEL
A parole, secondo la bozza del documento finale, “l’Unione europea conferma il suo impegno per il processo di stabilizzazione della Libia sotto gli auspici delle Nazioni unite”. Un accordo che preveda fondi, attrezzature, controllo sui campi in cui sono trattenuti i migranti è complicatissimo da definire e dovrebbe fare il paio con la questione Sahel perché la porosità del confine meridionale della Libia è un problema centrale da sempre. I soldi servirebbero per frenare le partenze dalla Tunisia e da parecchi Stati meridionali oltre che ad aumentare i rimpatri volontari assistiti, convincendo i profughi a tornare a casa con un po’ di soldi.
SBARCHI TRIPLICATI
Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, sono arrivati quest’anno 19.360 migranti, il triplo rispetto ai 6.353 dell’anno scorso: il Bangladesh ha conquistato il primo posto con 2.994 seguito dalla Tunisia con 2.843. Ha ragione Matteo Villa dell’Ispi a ironizzare sostenendo che i ricollocamenti che funzionano meglio sono quelli “automatici” perché sono gli stessi migranti a spostarsi dall’Italia verso altri Paesi europei, elemento che tra poco si aggiungerà ai nostri problemi con la questione “dublinanti”, orrendo neologismo che indica gli irregolari individuati altrove e che in base al Regolamento di Dublino possono essere rispediti nel Paese di primo approdo, Covid permettendo.
Se il Piano di azione per i Paesi di origine slitta a settembre, come sembra certo, si vedrà se il presidente del Consiglio riuscirà a definire quell’alternativa di lungo periodo che ha accennato in Parlamento. Sanchez ha detto recentemente che quando Draghi parla al Consiglio europeo “tutti stiamo in silenzio e ascoltiamo”. Purtroppo un conto è ascoltare, un altro è dare ascolto.