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Diserzione elettorale in Francia. Cadono Le Pen e Macron, ritornano i gollisti

Nessuno immaginava che la destra moderata, quella che oggi si riconosce soprattutto in Xavier Bertrand, dopo aver messo in soffitta i Sarkozy, i Fillon, i Juppé, sarebbe risorta dalle ceneri in quattro anni. Colui che viene ritenuto il nuovo leader gollista, Bertrand appunto, presidente di Haute-de-France, non fa mistero di puntare all’Eliseo e se gli riesce di ricompattare il partito e coinvolgere il vecchio ed il nuovo, non è detto che il sogno non diventi realtà. L’analisi di Gennaro Malgieri

Un quadro confuso, indecifrabile viene fuori dal secondo turno delle elezioni regionali francesi. Il 65,7% degli elettori rifiuta il voto e manda a dire alla politica che non si riconosce nella maggior parte delle formazioni rappresentative. La democrazia in Francia è in evidente crisi. La sua identità è disconosciuta da chi dovrebbe avvalorarla. Troppe giravolte, molte delusioni. Al punto che Marine Le Pen, in seguito alla “conversione” moderata (che nessuno ha compreso) non guadagna neppure una regione, mentre La République en Marche! di Emmanuel Macron resta altrettanto a mani vuoti ed il presidente pensa all’ennesimo, inutile rimpasto di governo. Non ha capito che il macronismo è finito non appena è incominciato. In quattro anni non si è radicato neppure in un lembo di Francia. Ha sbagliato tutte le mosse, dai gilet gialli alla pandemia ed ora, immaginando di ricandidarsi alle presidenziali il prossimo anno, Macron le prova tutte, perfino delle improprie desistenze, senza raccogliere un bel nulla, ma facendo crescere Les Républicains.

Il pieno, infatti,  lo fanno i post-gollisti che si confermano nelle regioni che amministravano lasciando il resto, poco in verità, ad una sinistra localista e clientelare che mettendo insieme tutti i segmenti un pugno di regioni le porta a casa.

Nessuno immaginava che la destra moderata, quella che oggi si riconosce soprattutto in Xavier Bertrand, dopo aver messo in soffitta i Sarkozy, i Fillon, i Juppé, sarebbe risorta dalle ceneri in quattro anni. Colui che viene ritenuto il nuovo leader gollista, Bertrand appunto, presidente di Haute-de-France, non fa mistero di puntare all’Eliseo e se gli riesce di ricompattare il partito e coinvolgere il vecchio ed il nuovo, non è detto che il sogno non diventi realtà.

I gollisti escono da un lungo inverno, ma hanno trovato una sia pur esigua schiera di francesi ad attenderli, scontenti del velleitarismo lepenista e della incapacità di Macron. Sono pochi quelli che hanno votato, ma abbastanza da respingere un ex-sarkozysta come Thierry Mariani, già ministro dell’ex-presidente, nella regione, della Paca, vale a dire Provenza ed Alpi Marittime, dove è stato battuto dal gollista Renaud Muselier, con il 57% contro il suo 43%. L’elettorato della regione dove il Rassemblement national è più forte, ma che paradossalmente respinse il vecchio Jean-Marie Le Pen prima e poi la giovane nipote Marion, non ha probabilmente gradito la vicinanza del candidato ritenuto imbattibile a Putin ed Assad. Il Rassemblement, dunque, non si è preso ciò che riteneva suo al Nord puntando sulla questione sociale e al  Sud dove ha condotto una campagna incentrata sui temi identitari e dell’immigrazione. Una bocciatura su tutta la linea a fronte di una sinistra che, contrariamente alle aspettative, ha conservato le presidenze nelle cinque regioni che amministrava.

Si rimprovera alla Le Pen lo spostamento verso il centro. È probabile che la ragione della débâcle sia questo. Ma molto più convincente sembra la tesi di coloro che non capiscono più la bionda signora della destra francese la quale non è stata capace di intessere rapporti con la società civile in ragione delle sue giravolte e a causa della presenza nella sue file di personalità sbiadite o legate a leader stranieri come l’autocrate russo ed il dittatore siriano.

La Le Pen “soffre” della mancanza di radicamento in quei ceti che pure dice di rappresentare. Se ha avuto il merito di evitare d’imbarcarsi con i gilet gialli, non si può però dire che sia stata capace di rappresentare le ragioni del ceto medio inseguendo piuttosto strategie confuse a livello europeo delle quali al suo elettorato poco gliene importa.

Non è improbabile che alla prossime presidenziali si presenti un intellettuale che ha grande seguito in Francia e che ha fatto della sua opera un capolavoro dell’identitarismo, Eric Zemmour, ritenuto il più strenuo avversario dell’islamismo e difensore delle ragioni francesi ed europee, della cultura nazionale e oppositore del rammollimento marconista, viene considerato come il nuovo portatore delle istanze nazionali. Nato a Montreuil da famiglia ebraica algerina, si è sempre definito ebreo berbero. Conservatore da sempre, nel suo libro Le suicide français, ha rivolto accuse pesanti  all’immigrazione, al multiculturalismo e alla globalizzazione della società francese. Ritenendo  il Sessantotto principio di tutti i mali occidentali, avversa l’egemonia culturale gauchiste, non teme le demonizzazioni ed il successo dei suoi libri e delle sue frequenti apparizioni televisive, lo qualificano come un interlocutore con il quale fare i conti, ben più affidabile della Le Pen. È nata una nuova stella? Prematuro sostenerlo, tuttavia segnali di inquietudine a destra, come hanno dimostrato le elezioni, se ne colgono.

Assisteremo probabilmente ad un conflitto tra due anime che dovrebbero unirsi. Un altro motivo di divisione della politica francese già frammentata e ai più incomprensibile. Ma forse anche un chiarimento in quella destra che vola nei sondaggi e si piega nelle urne.

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