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La Francia confusa si affida all’usato sicuro, il post-gollismo

Nei ballottaggi delle 13 regioni di domani il risultato sembra scontato. Ma il Paese è frammentato politicamente, la sua democrazia è frastornata. Non ha un leader a cui affidarsi, non ritiene agibili i programmi che i partiti mettono in campo. Mentre in Europa… L’analisi di Gennaro Malgieri

La Francia in confusione politica si appresta a scegliere nei ballottaggi di domani chi guiderà le tredici regioni dove si è votato una settimana fa. Il risultato sembra scontato. I Repubblicani neo-gollisti, o post-gollisti, lontani eredi del Generale e prossimi a Sarkozy, inopinatamente dovrebbero fare il pieno, contro ogni previsione della vigilia, spazzando via le illusioni di Marine Le Pen che al primo turno ha perso ben nove punti rispetto alle precedenti consultazioni, mentre i sondaggi l’accreditavano come vincente, e dando il colpo di grazia a Emmanuel Macron il cui partito ha danzato una sola stagione. République en Marche!, infatti, con lo striminzito 10% ottenuto sette giorni fa segna il livello più basso della sua breve parabola ipotecando la sconfitta del prossimo anno alle presidenziali.

I socialisti che si sono riportati al 14% guidano una sinistra completamente sbandata, la cui punta di lancia, France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon (post-comunisti), non ha affondato con il suo sgangherato populismo, nel malessere francese ed è rimasta ai margini con un 5,7% che figura nella galassia della sinistra come il partito (a parte formazioni improvvisate) come la più grande ed inaspettata delusione, mentre neppure i Verdi, ottenendo il 9,10 % sfondano come ci si attendeva.

Ma il dato su cui si riflette in queste ore è quello dell’astensionismo. Mai nella storia repubblicana francese il voto era stato rifiutato dal 67% degli elettori. Vuol dire che ha votato una minoranza esigua, poco rappresentativa che se non si può sostenere che abbia “falsato” la consultazione, certo ha espresso la propria sfiducia sia verso i nuovi partiti che quelli più stagionati, facendo guadagnare ai vecchi neo-gollisti di destra moderata nuovamente il centro della scena politica. Se dovessero, come sembra, conquistare tutte e tredici le regioni, indubbiamente porrebbero un’ipoteca sulle presidenziali nelle quali Macron mostrerà, con ogni probabilità, la sua debolezza apparsa evidente fin dal debutto di quattro anni fa.

I Républicains di Christian Jacob, di Laurent Wauquiez e di Xavier Bertrand hanno lanciato la sfida, proprio con le regionali, al presidente uscente ed ovunque i loro candidati sono in testa distaccando di molti punti ai ballottaggi il Rassemblement national della Le Pen, oltre al altre formazioni.

Come mai sono resuscitati dopo i guai giudiziari di Sarkozy, la disfatta di Fillon, le guerre intestine tra Juppé e i vari colonnelli che hanno bruciato sostanzialmente una generazione di politici? La spiegazione è nella sfiducia del “nuovismo” da parte dei pochi che sono andati a votare, mentre la maggior parte dei francesi è rimasta alla finestra in attesa di vedere quale sarà l’orientamento prevalente che andrà manifestandosi da qui ad un anno.

Certo è che con il solo Mariani, in testa in Provenza, e difficilmente vincitore, la Le Pen non potrà trarre lo slancio necessario per sfidare chiunque, neppure Macron dal momento che i neo-gollisti , forti della ritrovata unità, metteranno il Paese di fronte ad un bivio: o noi o il caos. E non senza ragione. Loro, infatti, hanno dimostrato di sapere ricompattare un mondo che sembrava perduto; gli avversari che hanno agitato idee confuse e contraddittorie, hanno contato malinconicamente i pochi consensi ottenuti fidando sul velleitarismo alimentato dai sondaggi che su autentiche strategie elettorali e politiche.

In primis Macron, le cui ondivaghe proposte non hanno suscitato entusiasmi nel suo entourage. E poi la disastrosa gestione della pandemia ha fatto il resto. La gente si è convinta davanti alla catastrofe che all’Eliseo la confusione condizionava le scelte presidenziali al punto che la Francia è stata una delle nazioni più colpite dal Covid parafando un prezzo altissimo in termini di contagiati e di vittime.

La Le Pen, nell’ultimo anno, ha cercato una strada che non ha trovato. Si è data da fare per rinnovarsi, abbracciando soprattutto l’ecologismo e ripudiando le feroci critiche all’Unione europea e all’Euro. Sembrava riscuotere apprezzamenti tanto da risultare prima nei sondaggi. Ma alla prova dei fatti, chi avrebbe dovuto votarla, se n’è stato lontano dalle urne deludendo la leader della destra i cui repentini cambiamenti politici sono stati visti piuttosto come opportunistici e non frutto di una maturazione convinta.

La Francia è frammentata politicamente e confusa tra le poche opzioni spendibili. La sua democrazia è frastornata. Non ha un leader a cui affidarsi con sicurezza, non ritiene agibili i programmi perlopiù improvvisati che i partiti mettono in campo. E mentre in Europa, con l’uscita di scena della Merkel, nuove alleanze strategiche si vanno profilando, magari alimentate dal successo di Draghi, si avverte in Francia un senso di decadenza che potrebbe avere anche conseguenze economiche molto serie.

Le regionali offriranno segnali da non sottovalutare, ma si ha già l’impressione che i vecchi protagonisti difficilmente recupereranno il terreno perduto.

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