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Giubbe, fucili e 007. Guida a Sayeret Matkal, l’élite che governa Israele

L’analista Ronen Bergman evidenzia un aspetto che unisce tre uomini nuovi di Israele: premier, capo del Mossad e ministro della Pubblica sicurezza. Tutti hanno servito nell’unità d’élite Sayeret Matkal. Ecco come (non) cambiano politica estera e intelligence senza Netanyahu

Un filo rosso lega tre protagonisti della nuova stagione che si è da poco aperta in Israele con la benedizione degli Stati Uniti di Joe Biden.

Uno è Naftali Bennett, il nuovo primo ministro conservatore, che ha spodestato Benjamin Netanyahu, di cui era stato persino definito il delfino, dopo 12 anni al governo senza soluzione di continuità. Un altro è David Barnea, che a inizio giugno ha preso il posto di Yossi Cohen, definito da molti osservatore un fedelissimo dell’ex premier, alla guida del Mossad, l’agenzia d’intelligence che fa capo esclusivamente al primo ministro. L’ultimo è Omer Bar-Lev, deputato laburista diventato ministro della Pubblica sicurezza nel nuovo esecutivo.

Tutti loro hanno fatto il servizio militare nella Sayeret Matkal, unità d’élite per le operazioni speciali dell’esercito israeliano. È il commando che nel 1976 condusse l’Operazione Entebbe in cui perse la vita il tenente colonnello Yonatan Netanyahu, fratello dell’ex primo ministro, un altro membro dell’unità.

A mettere in luce questo filo rosso è Ronen Bergman, firma di Yedioth Ahronoth e del New York Times, tra i massimi esperti d’intelligence, parlando con Formiche.net. È l’autore di “Rise and kill first” (pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo “Uccidi per primo”), un volume di quasi 800 pagine, in cui ricostruisce, con interviste esclusive a uomini di Stato e agenti dell’intelligence, i cosiddetti “omicidi mirati” condotti da Israele contro il terrorismo palestinese e le organizzazioni terroristiche antisraeliane come Hamas, Hezbollah o il Movimento per il jihad islamico in Palestina.

Bergman ripercorre la carriera di Barnea, “un operativo sul campo da molto tempo”, che dopo il servizio militare ha fatto il banchiere. Poi, a metà degli anni Novanta, l’ingresso nel Mossad. “Una delle ragioni dietro il suo arruolamento è l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin nel 1995”, racconta.

Quella di Barnea, dunque, sembra essere una vera e propria missione. Dopo l’arruolamento è diventato case officer. Poi, a parte due anni da numero due della Keshet, la divisione che si occupa di monitorare gli obiettivi, ha passato l’intera carriera in agenzia nella Tzomet, il reparto responsabile dell’individuazione e del reclutamento degli agenti. Infine, è diventato vicedirettore del Mossad nel 2019, “sotto la guida” di Cohen e in “accordo” con lui, dice Bergman, prima anche lo stesso lo indicasse come suo successore.

“Israele è un posto piccolo”, prosegue Bergman. E qui ritorna il filo rosso. “Negli anni Ottanta, Barnea era un giovane soldato della Sayeret Matkal, quando a capo dell’unità c’era Bar-Lev, oggi ministro del governo Bennett”. Elementi che l’analista porta a sostegno della sua convinzione che il cambio di governo, e la fine probabile della stagione Netanyahu, non causerà “tensioni” tra l’esecutivo e il Mossad, guidato oggi da un agente cresciuto sotto l’ala di Cohen e scelto da Netanyahu. E forse non è un caso che nelle settimane in cui Bennett e il leader centrista Yair Lapid cercavano i voti alla Knesset per dar vita al cosiddetto “governo del cambiamento”, gli Stati Uniti di Joe Biden abbiano rafforzato i canali diplomatici con il presidente uscente Reuven Rivlin (atteso alla Casa Bianca nelle prossime settimane) e con il Mossad, da sempre il vero fulcro della politica estera israeliana.

Bergman racconta poi a Formiche.net una storia per spiegare l’attività di Barnea nel Mossad prima che ne diventasse direttore. “Se un agente del Mossad si presenta come un cittadino israeliano in Siria, per esempio, ha scarse possibilità di successo nel reclutamento. Il discorso cambia se si presenta, non so… da uomo d’affari italiano, a capo di un’azienda interessata a investire in impianti di pompaggio dell’acqua, offrendosi di aiutare una determinata persona e mettendo sul piatto molto soldi e chiedendo in cambio informazioni. Quando il soggetto si rende conto che non lavora per l’azienda italiana ma per Israele il più delle volte è troppo tardi”.

Non è un caso che Bergman parli di Siria, Stato su cui sono forti le influenze di Teheran. Infatti l’Iran, con i suoi sforzi nucleari e il suo sostegno al jihadismo in Medio Oriente, “rimarrà la priorità numero uno del Mossad”, anche con un direttore più compassato del precedente.

E lo rimarrà anche per quanto riguarda la collaborazione con altre agenzie d’intelligence, comprese quelle europee. Un esempio? “Il recente caso di Assadollah Assadi”, risponde Bergman citando l’episodio del diplomatico iraniano condannato a febbraio dal Tribunale di Anversa a 20 anni di carcere (il massimo della pena) con l’accusa di terrorismo in relazione all’attentato (sventato) contro una manifestazione della Resistenza iraniana a Parigi il 30 giugno del 2018.

All’evento partecipavano diversi esponenti di spicco della politica internazionale, tra cui l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, fedelissimo dell’ex presidente statunitense Donald Trump. Fu il Mossad ad avvertire le autorità di Belgio e Francia delle attività di quel diplomatico che per preparare l’attentato girò l’Europa, Italia compresa.

 

 

Foto: David Barnea, a sinistra, con il primo ministro Naftali Bennett (Haim Tzach/GPO)

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