L’Unione europea ha varato nell’estate del 2020 un progetto denominato “Strategia per l’idrogeno”, con un finanziamento di 470 miliardi di euro, destinati a progetti di ricerca e di produzione in grado di dotare i Paesi dell’Unione di strumenti per l’elettrolisi in grado di produrre entro il 2024 almeno un milione di tonnellate di idrogeno “verde”. L’analisi di Giancarlo Elia Valori
La pandemia di Covid-19, grazie al contributo dei vaccini, inizia lentamente a esaurirsi perdendo progressivamente aggressività con la conseguente attenuazione del suo impatto sulla salute delle popolazioni di tutto il mondo.
Tuttavia, se gli effetti sanitari dell’ondata pandemica appaiono in via di attenuazione, gli effetti economici negativi di un anno e mezzo di chiusure forzate di molte attività produttive si fanno sentire pesantemente a livello globale e sembrano destinati a durare ben oltre la fine dell’emergenza sanitaria.
Per sostenere e favorire la “ripartenza” dell’economia, l’Unione europea ha varato un “Piano di Rinascita e Resilienza” stanziando un’enorme quantità di fondi che nei prossimi anni dovranno essere utilizzati non solo per soccorrere i Paesi in difficoltà con misure contingenti ma anche per stimolare una crescita economica e produttiva che modernizzi i modelli di produzione con particolare riguardo agli equilibri ambientali, messi sempre più in crisi dall’uso di fonti di energia non rinnovabili, fortemente inquinanti.
Il nostro Paese è destinato a ricevere oltre 200 miliardi di euro di fondi europei per sviluppare i propri progetti di uscita dalla crisi economico-pandemica e vuole, giustamente, usarli non solo per tappare le falle causate dai vari “lockdown” nel tessuto produttivo nazionale ma anche per implementare una serie di progetti strategici in grado di rendere più efficienti non solo i settori produttivi ma anche la pubblica amministrazione, il sistema sanitario e il sistema giudiziario.
Insomma, il “Piano di Rinascita e Resilienza” che sta vedendo la luce in questi giorni può dimostrarsi un potente volano di sviluppo e di modernizzazione del nostro “Sistema Paese”.
Tra i progetti presentati dall’Italia all’attenzione di Bruxelles figura un iniziale stanziamento di oltre 200 milioni di euro, sui 47 miliardi previsti per il prossimo decennio, per favorire la ricerca e lo sviluppo della produzione nel campo delle energie rinnovabili e in particolare nel settore dell’Idrogeno. Perché l’idrogeno?
L’idrogeno è, potenzialmente, la fonte di energia “pulita” più abbondante dell’universo. È versatile, sicuro e affidabile e, se viene prodotto con fonti di energia rinnovabili, non produce emissioni dannose per l’ambiente. Esso tuttavia non è disponibile in natura nella sua forma gassosa, l’unica utilizzabile come fonte di energia, essendo sempre legato ad altri elementi, come l’ossigeno nell’acqua e il metano come gas.
I processi tradizionali utilizzati per “staccare” l’idrogeno dall’ossigeno dell’acqua e dal metano consumano grandi quantità di energia elettrica, il che rende i procedimenti non solo molto costosi, ma anche fortemente inquinanti, con il paradosso che per produrre una fonte di energia pulita si “sporca” comunque l’ambiente specie se, come accadeva fino a un recente passato, l’elettricità necessaria viene prodotta con le tradizionali fonti di energia non rinnovabile (carbone, gas, petrolio).
La fonte migliore di idrogeno in forma gassosa è il mare: con l’elettrolisi si può facilmente separare l’Idrogeno dall’ossigeno e conservarlo in forma gassosa per poi utilizzarlo come fonte di energia.
Le celle elettrolitiche grazie alle quali si sviluppa il procedimento consumano grandi quantità di energia e la scienza, per nostra fortuna, sta trovando il modo di produrla senza inquinare, utilizzando l’energia tratta dal sole, dal vento e, soprattutto, dal mare.
Con l’uso dell’energia marina si realizza una sorta di “economia circolare” della produzione di idrogeno: dalla fonte primaria praticamente inesauribile come l’acqua degli oceani si può estrarre Idrogeno con l’energia fornita dal moto ondoso e dalle maree.
Il 40% della popolazione mondiale vive in un raggio di 100 chilometri dal mare e questo dato fa comprendere quali siano le potenzialità dell’energia tratta dal mare come motore di sviluppo sostenibile sul piano economico, ma anche climatico e ambientale.
Oggi sono disponibili moderni strumenti, tutt’altro che invasivi, per estrarre energia elettrica dal mare, come il “pinguino”, uno strumento prodotto in Italia, che collocato a 50 metri di profondità produce energia elettrica senza alcun danno per la flora e la fauna marine.
Un altro prodotto dell’intelligenza e della creatività degli scienziati italiani è l’Iswec, un convertitore di energia dalle onde marine che, occupando una sezione di mare di soli 150 metri quadri, produce 250 Megawatt di elettricità in un anno consentendo, da sola, di tagliare l’emissione nell’atmosfera di 68 tonnellate di CO2.
Con questi strumenti e con gli altri che la tecnologia svilupperà nei prossimi anni sarà possibile alimentare le celle elettrolitiche per la produzione di Idrogeno in forma gassosa su scala industriale, a livelli che nei prossimi 15 anni porteranno alla produzione di almeno 100.000 tonnellate di idrogeno “verde” l’anno, consentendo di abbattere i livelli di inquinamento atmosferico in modo assolutamente significativo con effetti positivi sull’economia, sull’ambiente e sul clima.
L’Unione europea ha varato nell’estate del 2020 un progetto denominato “Strategia per l’idrogeno”, con un finanziamento di 470 miliardi di euro, destinati a progetti di ricerca e di produzione in grado di dotare i Paesi dell’Unione di strumenti per l’elettrolisi in grado di produrre entro il 2024 almeno un milione di tonnellate di idrogeno “verde”.
La lotta contro le emissioni di CO2 non vede soste: dagli Usa che, dopo la parentesi trumpiana, hanno riconfermato l’impegno alla riduzione delle emissioni, alla Cina che nel suo ultimo piano quinquennale ha previsto una riduzione delle emissioni di Anidride carbonica nell’atmosfera del 65% entro il 2030, all’Europa che è sempre stata all’avanguardia nella creazione di strumenti utili alla produzione di energia dalle onde e dalle maree e che esporta le proprie tecnologie negli Stati Uniti, in Australia e in Cina.
Secondo l’Hydrogen Council, un’associazione che raccoglie oltre 100 imprese di tutto il mondo accomunate da un’unica visione di sviluppo a lungo termine per una transizione all’Idrogeno, in futuro Europa e Cina competeranno e coopereranno nella produzione di energia dal mare e nella correlata produzione di “idrogeno verde”.
La Cina, in particolare, dopo essere stata per decenni, durante il suo vorticoso sviluppo economico, una delle principali fonti di emissione di CO2 nell’atmosfera e di inquinamento globale ha assunto con il suo 14° piano quinquennale l’impegno, nelle parole del suo ministro delle Risorse Naturali Lu Hao “dovrà sviluppare e promuovere la convivenza armoniosa tra uomo e natura, attraverso il miglioramento dell’efficienza nell’uso delle risorse e un equilibrio corretto tra protezione e sviluppo”.
Potrebbero sembrare le frasi di circostanza dette da un politico in un congresso. Ma nel caso della Cina e del suo ministro delle Risorse Naturali alle parole sono seguiti i fatti. Nel quadro della “Road map 2.0 per la tecnologia e il risparmio energetico e dei veicoli a nuova energia”, Pechino ha stabilito che entro il 2035 il numero dei veicoli a celle a combustibile raggiunga il milione e la produzione di Idrogeno si attesti sui 2 milioni di tonnellate l’anno.
Secondo il “China Hydrogen Energy Industry Development Report 2020” entro il 2050 l’Idrogeno coprirà il 10% del fabbisogno di energia mentre il numero dei veicoli a celle a combustibile salirà a 30 milioni e la produzione di Idrogeno a 60 milioni di tonnellate.
Per dare concretezza a queste prospettive la Cina ha creato a Shenzen il “National Ocean Technology Centre” e sviluppato con l’italiano “International World Group” il “Progetto di cooperazione Cina-Europa per la generazione di energia e produzione di Idrogeno dalle onde marine e da altre fonti di energia rinnovabile”.
Si tratta di progetti concreti nei quali, grazie alla creatività italiana e alla razionalità e al pragmatismo cinesi, si dovrà continuare a investire e a lavorare, anche per dare alla terza rivoluzione industriale un volto più pulito rispetto a quello, sporco di carbone, della seconda.
Progetti che appaiono in linea con quelli previsti sia a livello europeo che a quello italiano dal “Piano di Rinascita e Resilienza” che ci dovrebbe pilotare fuori dalle secche economiche della pandemia e che meritano di essere finanziati e sostenuti in quanto in grado non solo di contribuire alla rinascita dell’economia, ma anche (da un male-come il virus-può sempre nascere un bene) alla ricostruzione di un mondo più pulito e più vivibile.