Senza entrare nel merito di quanto deciso dal supremo organo della giustizia amministrativa è bene concentrarsi ora su quanto ha giustamente sottolineato il ministro Giorgetti: procedere speditamente al piano di riassetto tecnologico dello stabilimento tarantino, in linea con quanto previsto con il Pnrr. Il commento di Federico Pirro, docente di Storia dell’Industria all’Università di Bari
La sentenza n. 4802 della Sezione IV del Consiglio di Stato di annullamento di quella n.249/2021 del Tar di Lecce – che, invece, a suo tempo aveva respinto il ricorso di società e Amministrazione straordinaria contro l’ordinanza del Sindaco di Taranto di spegnimento dell’area a caldo del Siderurgico, in assenza di interventi per ridurne le emissioni nocive – dopo l’udienza del 13 maggio in cui si era svolto il dibattimento fra le parti, è stata a lungo attesa con preoccupazione da azienda, governo, sindacati, dipendenti dell’acciaieria, imprese dell’indotto e da tutti coloro che – al di là di ogni demagogia – hanno realmente a cuore le sorti della più grande fabbrica manifatturiera del nostro Paese.
Le motivazioni contenute nelle 60 pagine della sentenza del Consiglio di Stato, in realtà e a ben vedere, erano state anticipate sia pure in sintesi nella sospensiva che, su ricorso di AmInvestco Italy e amministrazione straordinaria – tuttora proprietaria degli impianti dell’ex Ilva – era stata accordata nei mesi scorsi, consentendo così il prosieguo dell’esercizio dell’area a caldo che, non lo si dimentichi, è tuttora sotto sequestro, ma con facoltà d’uso.
Ma ora, senza entrare dettagliatamente nel merito di quanto statuito dal supremo organo della giustizia amministrativa – certo non ignaro della natura tuttora pubblica della proprietà del compendio impiantistico del gruppo, e della partecipazione paritetica con l’azionista privato di una finanziaria pubblica come Invitalia al capitale della società di gestione delle fabbriche – è bene concentrarsi, a nostro avviso, su quanto ha giustamente sottolineato il ministro Giorgetti, il quale ha affermato che ora il governo intende procedere speditamente al piano di riassetto tecnologico dello stabilimento tarantino, in linea con quanto previsto con il Pnrr.
E al riguardo anche i sindacati hanno sottolineato con forza che ora non vi sono più alibi per l’Esecutivo per portare innanzi un nuovo piano industriale che dovrà fare assoluta chiarezza su investimenti, ammodernamento di impianti, volumi produttivi, drastica riduzione di emissioni nocive, e soprattutto sui futuri assetti occupazionali nella fabbrica e nelle aziende del suo indotto pugliese, i cui titolari proprio nei giorni scorsi hanno manifestato in massa dinanzi ai cancelli del sito per rivendicarvi la conservazione dell’area a caldo.
Allora, si insedino ad horas i tre consiglieri designati da Invitalia, ovvero Franco Bernabè, Stefano Cao e Carlo Mapelli, si proceda alla definizione (se già non concordata) delle deleghe fra Presidente di nomina Invitalia e Amministratore delegato espresso da Arcelor Mittal, si assuma in consiglio di amministrazione una delibera che assegni al prof.
Mapelli – il maggior esperto di siderurgia nel mondo accademico italiano – il coordinamento tecnico-applicativo di quanto si sarebbe stabilito al Ministero della transizione ecologica fra Fincantieri e Paul Wurth per l’ammodernamento di quegli altiforni che (presumibilmente) si lasceranno in esercizio o si riattiveranno con l’AFO5, e sui forni elettrici che bisognerà installare, su come dovranno essere alimentati, su costi di preridotto e del gas necessario per produrlo a costi competitivi, e sul rottame necessario per la loro carica – senza creare ulteriori problemi di approvvigionamento alla elettrosiderurgia privata italiana – e soprattutto si faccia chiarezza su quanti dovranno essere gli addetti nel futuro assetto dello stabilimento ionico, e su quanti dovranno rimanerne nei siti a valle di Genova e Novi Ligure.
E per tutti coloro che molto probabilmente entro un certo lasso di tempo non torneranno in fabbrica si mettano a punto piani di rioccupazione realmente credibili per numero di rioccupabili e settori di investimento, senza pensare di parcheggiarli in lunghi periodi di cassa integrazione, come sta accadendo da anni ai circa 1.600 addetti dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria. Perciò si crei alla presidenza del Consiglio una Struttura tecnica di missione esclusivamente dedicata alla reindustrializzazione di Taranto e del suo hinterland, dotandola di competenze e di esperienze realmente utili nell’assolvimento di un compito che non sarà affatto facile o di breve momento.
E last but non least si avvii da parte dell’intero Governo un rinnovato dialogo con la città di Taranto, i suoi stakeholder e tutta la cittadinanza per presentare ad essa il nuovo piano industriale e ambientale per il Siderurgico che dovrà assicurare lavoro, tutela della salute e dell’ambiente, e nuova visibilità nazionale e internazionale ad una città storicamente a vocazione industriale che, invece, l’amministrazione comunale in carica sta cercando in tutti i modi di far dimenticare all’opinione pubblica, offrendo ad essa le labili prospettive future di una città vocata al turismo, all’economia del mare, all’Arsenale della Marina Militare e alla presenza di forze armate italiane e straniere, impiegate nella grande base navale della Nato: tutte risorse e presenze, queste, sicuramente utili all’economia del capoluogo ionico, ma per nulla sostitutive, a nostro avviso, di quelle ben più elevate derivanti da una moderna e tecnologicamente sostenibile produzione (nei tempi tecnici necessari) di acciaio ‘green’, con tutti gli effetti indotti per il vasto cluster delle aziende di subfornitura, per le movimentazioni portuali, per le imprese di trasporto di coils, lamiere e tubi su gomme, ferrovia e via mare e per i rapporti con il mondo della ricerca scientifica.