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Serve un patto Roma-Madrid-Parigi per rafforzare l’Ue nel Mediterraneo

Di Dario Cristiani

Spagna, Francia e Italia assieme per rafforzare il fianco Sud dell’Unione e cercare soluzioni alle crescenti pluralizzazione geopolitica e militarizzazione del Mediterraneo

Il 2021 può essere considerato l’anno del ritorno della Spagna nel mondo: a inizio anno, Madrid ha lanciato un piano d’azione quadriennale, Estrategia de Acción Exterior 2021 – 2024, per ravvivare la propria politica estera ed avere un’azione esterna più incisiva ed efficace dopo anni in cui le principali preoccupazioni erano rivolte verso l’interno: parare i colpi della crisi economica; gestire la crescita del populismo e la relativa frammentazione del quadro politico, come dimostrato da elezioni continue e inconcludenti; le tensioni indipendentiste, con la Catalogna il caso più visibile ma non unico; le ricadute della Brexit (essendo la Spagna uno dei paesi più colpiti dall’uscita britannica dall’Unione) e infine il Covid-19.

In questo senso, il bilaterale tra Spagna e Italia tenutosi a Barcellona segna un momento estremamente importante perché ambisce a dare slancio ulteriore ad una partnership tra paesi molto complementari per interessi, cultura strategica e dinamiche di politica estera. La Spagna, come l’Italia, è una media potenza che ha storicamente posto l’accento – con una notevole continuità, a prescindere dall’estrazione politica dei suoi diversi governi – in politica estera su multilateralismo, diplomazia e soft power, con una scarsissima propensione a usare la forza militare. Esattamente come l’Italia. Inoltre, di nuovo come l’Italia, è un dei paesi più esposti agli elementi di crisi presenti nei quadranti del Mediterraneo meridionale, come dimostrato dai recenti problemi a Ceuta.

Come spiegato puntualmente da Teresa Coratella su queste colonne “entrambi i Paesi […] sembrano aver trovato nella politica estera il bacino per un’azione e spirito d’iniziativa proattiva finalizzato al sostegno di un’azione europea più solida” sottolineando inoltre un elemento spesso ignorato, e cioè che Madrid e Roma hanno “un peso specifico il cui potenziale è chiave e ancora non del tutto esplorato” essendo la “terza e quarta economia all’interno dell’Unione europea e rappresentando insieme il 25% del prodotto interno lordo dell’eurozona”.

Per comprendere la capacità d’iniziativa di tale potenziale, rivolgere uno sguardo al passato può essere utile. In passato, la convergenza italo-spagnola, innestandosi sullo storico ruolo di leadership francese nello spingere l’Europa muoversi nel Mediterraneo, creò una fase nuova nel modo in cui la neonata Unione europea, agli inizi degli anni Novanta, si poneva dinanzi alle dinamiche e le sfide provenienti dal bacino. Sebbene la situazione complessiva attuale sia diversa da quell’epoca, un eventuale rafforzamento della convergenza tra Italia, Spagna e Francia potrebbe nuovamente dare impulso e visione all’Unione europea nel Mediterraneo.

La Spagna divenne parte della Comunità economica europea (Cee) nel 1986. La sua presenza all’interno delle istituzioni comunitarie fu fondamentale per dare nuovo slancio alla proiezione mediterranea della Comunità in quegli anni di profondi cambiamenti. Storicamente, la Francia aveva da sempre un ruolo chiave nel guidare la proiezione mediterranea della Cee. Le principali iniziative politiche rispetto al mondo mediterraneo e arabo, dalla Politica mediterranea globale (Gmp) al dialogo euro-arabo, sono state tutte avviate dalla Francia.

Parigi ha certamente mantenuto la sua centralità anche negli anni a venire, sebbene in modo diverso. L’ascesa della Spagna aveva in qualche modo pluralizzato il processo di decisionmaking comunitario rispetto al Mediterraneo. L’attivismo spagnolo causò anche dei momenti di “rivalità occasionale”, usando le parole di Richard Gillespie, con la Francia, Madrid fu capace di coniugare i propri interessi nazionali con quelli degli altri per promuovere un nuovo approccio europeo al Mediterraneo.

Questa spinta fu importante anche per l’Italia. Roma riuscì a trarre beneficio dalla presenza di un ulteriore attore Mediterraneo in seno alla comunità. Questo passaggio si rafforzò ulteriormente con il collasso dell’equilibrio bipolare e la nascita dell’Unione europea. Il ministro degli Esteri Italiano dell’epoca, Gianni De Michelis, vide la sponda spagnola come fondamentale per dare linfa all’ambizione di fare dell’Italia un attore più attivo nel Mediterraneo. Nello specifico, l’Italia promosse, in partenariato con Madrid, la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione del Mediterraneo (Csmc), presentata a Palma di Maiorca nel settembre 1990, iniziativa volta a promuovere un maggiore impegno europeo nella regione.

Inoltre, da buon veneziano, De Michelis era conscio che dinamiche mediterranee e dinamiche mitteleuropee non erano mutualmente esclusive ma collegate. L’attenzione italiana verso il Mediterraneo fu quindi anche una risposta al processo di riunificazione tedesco, elemento fondamentale delle dinamiche dell’epoca è che, in modi diversi, interessò Roma, Parigi e Madrid. L’Italia, come ha ammesso anni dopo Giulio Andreotti, fu presa di sorpresa, e la riunificazione impattava gli interessi italiani anche nell’Europa danubiana e nei Balcani. Anche per la Francia la riunificazione tedesca era un passaggio geopolitico delicatissimo, dato il peso e le ferite della storia. Mitterrand, sebbene non si oppose essendo conscio che fosse un passaggio ineluttabile, cercò di gestirlo – anche provando a rallentarlo – per far si che gli interessi francesi non fossero troppo sacrificati. Per la Francia, la questione della riunificazione tedesca rappresentò una preoccupazione geopolitica così significativa che, in qualche modo ebbe un impatto, sulla Francia in particolare, rispetto all’attenzione verso altri dossier, come ad esempio le questioni mediterranee.

Per la Spagna, invece, il passaggio fu diverso, sebbene con risultati parzialmente simili. Per Madrid, la riunificazione tedesca non rappresentava la stessa pressante preoccupazione geopolitica. Bonn e Madrid erano particolarmente vicine in quegli anni. Il governo di Helmut Kohl fu probabilmente il più attivo tra i Paesi europei nel promuovere l’adesione della Spagna alla Cee. La Spagna fu uno più accesi sostenitori della riunificazione tedesca, ruolo che Kohl riconobbe apertamente a Felipe Gonzalez, Tuttavia, la gratitudine spagnola per il sostegno tedesco era parte di un quadro più ampio e sofisticato. Anche Gonzalez, come De Michelis, vide la questione della riunificazione tedesca in un’ottica mediterranea, come funzionale al ricevere sostegno diplomatico nel suo tentativo di rafforzare il profilo europeo nel Mediterraneo.

Insomma, all’alba degli anni Novanta c’era un trio di attori europei e mediterranei, Spagna, Francia e Italia, che lavorano in maniera più o meno coerente, nonostante le differenze, per portare l’Europa ad avere un approccio più coerente nel Mediterraneo, vedendo in questa proiezione anche una risposta ai cambiamenti sul continente causati dall’epocale riunificazione tedesca.

A guardare alle dinamiche di oggi, con il riavvicinamento italo-francese degli ultimi due anni e questo tentativo di rafforzamento delle relazioni italo-spagnole, si potrebbe provare a replicare questo tipo di modello per spingere l’Unione europea a cercare nuove risposte per aumentare la propria influenza nel Mediterraneo.

Di quel trio, all’inizio degli anni ’90, la Spagna arrivò ad avere un ruolo preponderante, per svariati motivi. L’attivismo italiano incarnato da De Michelis e che aveva rappresentato una sponda importante per Madrid presto scomparve, con il crollo della Prima Repubblica che mise la politica estera italiana in una sorta di standby. In Francia, oltre alla questione tedesca, l’esplosione della sanguinosissima guerra civile in Algeria portò Parigi a essere ancora meno vocale e a esporsi di meno nel Mediterraneo, per paura delle ricadute, paura motivata a vedere dagli eventi del 1995 con la serie di attentati che colpirono il Paese. Ciò non significa che Roma e Parigi smisero di essere attori mediterranei: semplicemente, avevano un ruolo meno significativo di quello di Madrid in quel contesto specifico.

In questo quadro, la Spagna guidò il processo di ridefinizione della politica che sfociò nel Partenariato euromediterraneo (il processo di Barcellona) e che aveva tantissime similitudini con un progetto descritto dall’ambasciatore spagnolo Jorge Dezcallar nel 1987 sull’approccio spagnolo al mondo arabo e sulla necessità di favorire profondi legami di interdipendenza tra l’Europa e il Mediterraneo.

Ora, a guardare al partenariato a 25 anni dal suo lancio, è chiaro che i risultati sono stati nettamente al di sotto delle ambizioni e delle aspettative. Stando alla lettera del progetto, il partenariato avrebbe dovuto portare a una ridefinizione delle logiche del bacino e alla nascita di uno spazio di “pace e prosperità condivisa” entro il 2010. Ironia vuole che nel dicembre del 2010, con gli eventi tunisini, ci fu l’inizio dell’ondata delle primavere arabe che hanno cambiato le condizioni strategiche del Mediterraneo, frammentandole ulteriormente, rendendole anche più violente. Ora, discutere dei motivi del fallimento del partenariato in questa richiederebbe spazio e tempo che qui non abbiamo. Però, al netto dei risultati fallimentari, alcuni elementi di quell’approccio vanno salvati. Come detto al German Marshall Fund l’anno scorso da Taïeb Baccouche, attuale segretario generale dell’Unione del Maghreb arabo ed ex ministro degli Esteri della Tunisia, gli attori della regione rimpiangono “lo spirito di Barcellona”: cioè l’idea che gli attori della sponda Sud debbano essere pienamente coinvolti, e non essere solo attori passivi, nel definire con l’Europa un approccio sistemico alla regione.

Il Partenariato tradì molte delle sue ambizioni, e probabilmente dovrebbe servire da lezione su cosa evitare e come avere obiettivi più realistici. Però, lo spirito che animò quell’iniziativa fu il risultato di specifiche dinamiche interne all’Europa che portarono la Spagna a giocare un ruolo di leader in una logica di cooperazione con i due Paesi mediterranei fondatori della Comunità. Prima, la convergenza con il dominus storico della politica mediterranea europea, la Francia, e con un’Italia che cercava di rafforzare il proprio profilo di cerniera mediterranea-mitteleuropea, prima del crollo della Prima repubblica, tra Quadrangolare e una Osce in salsa mediterranea. Poi la leadership quando, per motivi diversi, Parigi e Roma divennero meno attive. Le dinamiche attuali suggeriscono che, sebbene ci siano molte differenze, questa geometria dovrebbe essere in qualche modo ripresa.

Spagna, Francia e Italia potrebbero muoversi in questo solco, rafforzando il fianco Sud dell’Unione e cercando di trovare soluzioni realistiche, concrete e efficaci nel rispondere alla crescente pluralizzazione geopolitica e militarizzazione del Mediterraneo. In tal senso, questa dovrebbe essere vista non solo come una possibilità ma primariamente come una necessità per tutta l’Unione europea.


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