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Rompicapo Cia in Afghanistan. Il Pakistan nega le basi sul suo territorio

Il premier pachistano, sempre più vicino a Pechino, dice no alle basi Cia sul territorio del Paese. E così tornano gli interrogativi sul futuro degli operativi in Afghanistan dopo il ritiro Usa

Già ad aprile, all’indomani dell’annuncio del presidente Joe Biden di completare il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro l’11 settembre prossimo, a distanza di 20 anni dagli attentati di Al Qaeda contro gli Stati Uniti, su Formiche.net evidenziavamo i “rischi significativi”, così li aveva definiti il direttore della Cia, William Burns, per le operazioni e gli operativi dell’intelligence a stelle e strisce nel Paese soprannominato la “tomba degli imperi”.

Jeff Stein, storica firma del giornalismo americano ed esperto di intelligence, aveva dedicato un articolo sulla sua testata SpyTalk alle conseguenze per la Cia del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan (il presidente Ashraf Ghani sarà ricevuto alla Casa Bianca venerdì). Sottolineando come le operativi rischino di ritrovarsi da soli tra talebani, Stato islamico e gruppi pericolosi come la Rete Haqqani, arrivava a evocare Saigon. Ma con una differenza sostanziale dettata dalla geografia: “Non ci sono fiumi per far portare i boat people in un mare vicino, come quando Saigon crollò nel 1975, né elicotteri per far volare diplomatici statunitensi disperati, membri della Cia e i loro amici afgani dall’ambasciata americana alla sicurezza delle portaerei offshore”, scriveva Stein.

Come proseguire l’attività d’intelligence sulle reti terroristiche afghane è una delle principali preoccupazioni dell’amministrazione Biden. Le ipotesi nell’Asia centrale sembrano escluse, essendo quei Paesi nell’area di influenza della Russia di Vladimir Putin. Rimane il Pakistan, il cui esercito ha forti legami con i talebani. Nonostante questo, però, gli Stati Uniti hanno condotto centinaia di attacchi con i droni e operazioni dal territorio pachistano.

Le ultime dichiarazioni del primo ministro Imran Khan, da sempre critico sulla collaborazione con gli Stati Uniti, rischiano di riaccendere i riflettori su questo problema per Washington. Intervistato dalla testata americana Axios.com, oltre a non riconoscere la repressione della Cina (da cui il Pakistan è sempre più dipendente finanziariamente) contro la minoranza musulmana degli uiguri, il leader pachistano ha dato un altro dispiacere agli Stati Uniti: ha negato il territorio del suo Paese alla Cia suscitando la reazione incredula dell’intervistatore (“Seriously?”).

Permetterà al governo americano di avere basi Cia qui in Pakistan per condurre missioni antiterrorismo transfrontaliere contro Al Qaeda, l’Isis o i talebani?

“Assolutamente no”.

Negli ultimi mesi, Cia (il cui direttore è recentemente stato in Pakistan per incontrare il numero uno dell’intelligence locale) e Pentagono hanno nuovamente lamentato i rischi di rafforzamento dei gruppi terroristici in Afghanistan, Al Qaeda e Isis soprattutto, dopo il ritiro delle truppe americane. A Washington tutti sanno che per Khan il sostegno alle attività militari statunitensi sarebbe un suicidio politico. Ed è forse anche per questo che, sottolinea sempre Axios.com, “i funzionari americani in privato sperano ancora di poter raggiungere un accordo segreto con i potenti servizi militari e di intelligence del Pakistan”.

Altrimenti, potrebbe non rimanere che l’opzione di attività offshore. Su cui però Douglas London, ex operativo Cia, ha sottolineato un rischio parlando al New York Times: “Quando fai affari offshore, hai a che fare con intermediari”. “È un po’ come giocare al telefono senza fili”, ha aggiunto.

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