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La ripresa in Italia? Prossima ventura. Scrive Polillo

Se il diavolo non ci metterà le corna, facendo deragliare il trend dell’epidemia, al momento in rapido rientro, l’Italia chiuderà l’anno con una crescita ben maggiore rispetto alle previsioni iniziali. Il commento di Gianfranco Polillo

Sarà anche presto per brindare alla vittoria, ma un pizzico d’ottimismo non guasta. Se il diavolo non ci metterà le corna, facendo deragliare il trend dell’epidemia, al momento in rapido rientro, l’Italia chiuderà l’anno con una crescita ben maggiore rispetto alle previsioni iniziali. Ormai su questa ipotesi, concorda la maggior parte degli analisti, non solo italiani. Anzi, per alcuni versi, si assiste ad uno sforzo sorprendente nel cogliere con anticipo il sintomo di un risveglio, che ai più – e noi fra questi – appare straordinario.

L’accoglienza che i grandi della terra hanno riservato a Mario Draghi, in quel di Cornovaglia, per i lavori del G7, non è quindi solo la conseguenza di una stima personale per il neo presidente del Consiglio italiano. Naturalmente gli anni passati, gomito a gomito, seppur con incarichi diversi, pesano. Ma conta soprattutto l’idea, tutta da verificare ovviamente, che per l’Italia la sindrome di Cenerentola potrebbe divenire, quanto prima, un ricordo del passato.

Triste ricordo, naturalmente. Non abbiamo dimenticato l’amarezza degli anni passati: nel vedere il Paese sempre confinato negli ultimi posti delle varie classifiche internazionali. Maglia nera, come spesso si è chiosato per esprimere un misto di rabbia e rassegnazione di fronte allo sfottò continuo dei nostri concorrenti. Che ancora oggi non hanno smesso del tutto. Certo: non siamo più ai tempi dell’Italia “grande malato d’Europa”, come scriveva l’Economist, con la puzza sotto il naso. Ma nemmeno al completo superamento di quello stereotipo. Neppure Draghi “può fare miracoli” – questo l’aggiornamento – quasi a dimostrare l’esistenza di un’inferiorità congenita nel popolo italiano.

Dovranno ricredersi. La nostra non è solo una speranza. Ma il risultato di una più attenta meditazione sull’evoluzione di un Paese che, dopo tanti anni, sembra essere destinato ad uscire dalla morsa di un sistema politico, che non lasciava margini. Essendo stata soprattutto questa la sua palla al piede. Un sistema politico caratterizzato da sempre da una contrapposizione ideologica, da un lato, ed un’intesa sostanziale nella spartizione del potere, dall’altro. Lo si chiami consociativismo, modello spartitorio (copyright di Giuliano Amato) o con qualsiasi altro nome. Questa era stata la sabbia che aveva bloccato il meccanismo della crescita non solo economica dell’Italia.

La presenza di un uomo, come Mario Draghi, alla guida de governo, ha sbloccato la situazione. Le forze politiche italiane potranno continuare a duellare, rinverdendo di volta in volta un antico rituale. Ma le decisioni che contano per le sorti del Paese sono prese altrove. Fuori dalla logica della politica politicante, supportate da un principio di razionalità, che sembra rispondere alla reale natura dei problemi da affrontare. Lo si è già visto in tante occasioni e lo si vedrà ancora. Anche se non mancheranno i tentativi, come nel caso della proroga del blocco dei licenziamenti, di fermare, se non di portare indietro, le lancette dell’orologio.

Una visione troppo elogiativa? Confessiamo di essere vicini alle posizioni espresse qualche tempo fa dal Financial Times. Draghi in grado di rendere l’Italia “un paese europeo modello”. Ed i fatti, almeno per il momento, sembrano dar ragione a questa valutazione. Nel campo delle vaccinazioni contro il Covid, l’Italia è ai primi posti. In pratica appaiata con Germania (un pizzico avanti) Spagna e Francia (un pizzico indietro). Il balzo, secondo le valutazioni del “Our World in Data”, si sarebbe manifestato dalla prima metà di marzo. Un mese dopo la nascita del nuovo governo. Fatto da rimarcare con la necessaria energia. In genere ogni cambiamento della compagine governativa comporta ritardi e non certo accelerazioni.

Ma non è solo il coté epidemiologico a far propendere per la tesi appena esposta. Proprio in questi giorni, Eurostat ha pubblicato i dati sull’andamento del Pil, nel primo trimestre dell’anno, di tutti i Paesi europei. Non è stato un bel vedere. Nell’Unione a 29 si registra una caduta dello 0,3 per cento, che per i partner dell’Eurozona si riduce allo 0,1. Soffrono in particolare la Germania (meno 1,8 per cento), la Spagna (meno 0,5), il Portogallo (meno 3,3) e la stessa Francia (meno 0,1 per cento). Con Germania, Spagna e Portogallo che subiscono anche una contrazione rispetto al reddito nominale del primo trimestre dello scorso anno. L’Italia presenta, invece, una vistosa eccezione, incamerando un tasso di crescita dello 0,1 per cento.

Nessun atteggiamento di sufficienza nei confronti degli altri partner europei. Avremmo preferito un più generale tasso di crescita. E non per puro “buonismo”, ma consapevoli della più stretta interdipendenza che lega le diverse economie. Se la locomotiva tedesca non tira, tanto per fare un esempio, tutti i convogli del treno subiscono un rallentamento. Siamo pertanto ben felici che la Bce, proprio in questi giorni, abbia alzato le sue stime di crescita per l’intera Eurozona. Di 0,6 punti tanto nel 2020 che nel 2021. Certo Gran Bretagna e Stati Uniti dovrebbero crescere quasi del doppio. La Cina ancor di più. Un monito rivolto a tutti coloro che vorrebbero imbrigliare gli animal spirits, con politiche di austerity, nel timore di un domani segnato da una più elevata inflazione.

Ipotesi che in Italia, ma anche in Francia e negli altri Paesi del Club Med, preoccupa meno. I timori altrui hanno, per la verità, un loro fondamento. A partire dall’ingente massa di liquidità alimentata dalle politiche delle Banche centrali e dal sostegno dei bilanci pubblici. Senza contare poi la Next generation UE. Sennonché fossero ancora in vita, John Maynard Keynes o il Presidente Roosevelt non avrebbero alcunché da ridire. Furono questi i rimedi postumi contro la crisi del ‘29. Allora d’impatto ben più contenuto, rispetto alle due devastanti crisi del Terzo millennio: quella del 2007 e poi la pandemia.

Si dice che le materie prime o altre componenti per l’industria – ad esempio i microchip – registrino, fin da ora, aumenti eccessivi. Il che è vero. Ma la semplice osservazione statistica non può sostituire una riflessione più meditata. Relativa all’andamento del ciclo e quindi alla dimensione di medio periodo. L’interruzione della produzione nei mesi passati ha determinato blocchi che richiedono tempo per essere rimossi. Inevitabile allora che la maggior domanda faccia lievitare i prezzi, almeno fin quando la ristrutturazione dell’offerta non avrà colmato il relativo divario.

Al momento, le imprese stanno producendo per il magazzino, in previsione di un miglioramento del quadro congiunturale. Quando le famiglie, liberate dall’incubo del confinamento, riprenderanno a consumare. Con l’esaurirsi del ciclo delle scorte quella pressione sui prezzi è destinata ad attenuarsi. Ed allora rimarrà, solo l’effetto permanente del diverso andamento dei prezzi relativi. A causa delle modifiche intervenute nella struttura dei consumi. Ma, anche in questo caso, non vi saranno colli di bottiglia talmente stretti e generalizzati da non poter essere superati. Ci vorrà solo il tempo necessario.

La vera incognita riguarda la struttura del mercato del lavoro. Specie nei Paesi del Nord Europa – soprattutto Germania ed Olanda – prima dello scoppio della pandemia (2019) la disoccupazione era al di sotto dei limiti frizionali: intorno al 3,5 per cento ed anche meno. In questi casi un eccesso di domanda, derivante dalle politiche espansive seguite, potrebbe determinare più di un problema. Da qui il tentativo di premere sulla Bce e sulla stessa Commissione europea affinché si torni rapidamente alle vecchie regole del Patto e dell’ortodossia finanziaria. Fosse questa la scelta ultima, sarebbe disastrosa. I problemi di natura finanziaria, come ha avuto modo di ricordare lo stesso Mario Draghi in quel di Cornovaglia, si risolvono solo con una maggiore crescita. Che è anche l’unica chance per perseguire l’obiettivo di quella convergenza – oggi in notevole difficoltà – che fu il sogno dei Padri fondatori.

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