Il divieto di licenziamento sarebbe prorogato nei settori e nelle aziende in crisi. A parte il fatto che, nei settori che più hanno sofferto per le ricadute della pandemia il blocco – nei fatti – arriva fino a tutto ottobre (e la Cig da Covid-19 sino a tutto l’anno in corso) non viene da chiedersi se abbia un senso lasciare sulle aziende in crisi gli organici di prima della pandemia?
Mario Draghi da presidente del Consiglio ha dato prova di un grande senso pratico, con lo scopo di affrontare e risolvere i problemi. Così ha fatto con la campagna delle vaccinazioni, ottenendo risultati che hanno ampiamente confermata la scelta del “rischio ragionato” in barba alla profezie funeste dei virologi. Così il Paese è stato in grado di riaprire in condizioni di relativa sicurezza. E quest’operazione è stata sicuramente il contributo più consistente alla ripresa economica.
Poi non si è turbato più di tanto quando nel decreto Sostegni 1 si è trovato nella necessità di rottamare un bel po’ di cartelle fiscali. Non si è messo a giocare a nascondino con le parole, ma è stato il primo ad ammettere che si stava compiendo un piccolo condono, giustificato innanzitutto da questioni pratiche, tra cui l’impossibilità di riscuotere gran parte di quei crediti. Dapprima – trovandosi al cospetto della scadenza di fine marzo del blocco dei licenziamenti – non ha esitato a concedere un’ulteriore proroga (al 1° luglio e al 1° novembre), nelle sue intenzioni probabilmente l’ultima.
Lo ha messo nei guai il ministro Andrea Orlando, il quale – proponendo un emendamento al decreto Sostegni bis che modificata quanto stava entrando in vigore su questo spinoso problema dopo la conversione in legge del primo decreto – ha ringalluzzito i sindacati fino a minacciare proteste e scioperi nonostante l’accorta mediazione proposta da Draghi (le aziende che ritornano alla normalità dal 1° luglio possono contare sulla copertura a carico dello Stato del ricorso alla Cig, purché evitino di procedere a licenziamenti). Fonti di Palazzo Chigi hanno fatto trapelare nei giorni scorsi che il premier ha messo i suoi tecnici al lavoro per trovare delle soluzioni.
Addirittura circola la voce che Draghi vorrebbe sfidare le parti sociali a volare alto proponendo loro un Patto per lo sviluppo (il premier tiene sempre d’occhio l’esperienza del governo Ciampi) all’interno del quale scambiare impegni tra sindacati e Confindustria e tra loro e il governo.
Nel frattempo si cercano soluzioni per “sbloccare” il blocco. Si parla di una soluzione che, a chi scrive, pare parecchio stramba: il divieto di licenziamento sarebbe prorogato nei settori e nelle aziende in crisi. A parte il fatto che, nei settori che più hanno sofferto per le ricadute della pandemia il blocco – nei fatti – arriva fino a tutto ottobre (e la Cig da Covid-19 sino a tutto l’anno in corso) non viene da chiedersi se abbia un senso lasciare sulle aziende in crisi gli organici di prima della pandemia?
Da che mondo e mondo una impresa in crisi si ristruttura, si riconverte e si riorganizza: in queste operazioni si pongono anche problemi per la manodopera occupata, sia per quanto riguarda il numero, sia la qualità. Si dirà ma il personale in esubero rimane in Cig in deroga senza costi per l’impresa. Ma un’azienda non è in condizione di programmare un futuro se non ha alcuna certezza per gestione degli organici. Abbiamo forse dimenticato le parole di Draghi nel discorso sulla fiducia al Senato il 17 febbraio? Eccolo: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi’’.
D’accordo. Ma non ci si venga a dire che i lavoratori (tutti) saranno protetti lasciandoli in Cig a zero ore presso quelle aziende che “sarebbe un errore proteggere indifferentemente”, ma alle quali sarà impedito di licenziare.