Al dunque la scudisciata di Grillo rappresenta un mastodontico richiamo all’ordine per tutti. Nel senso che è stata riconfermata la caratteristica di una forza politica che non ammette figure intermedie tra il Capo e i seguaci
E adesso, poveri loro, che cosa faranno? Tra le tante cose che il disfacimento dei Cinquestelle insegna, ce n’è una che suona come una sentenza: il grillismo non prevede mediatori. È la triste conclusione che devono annotare figure di primo piano del MoVimento come Luigi Di Maio e Roberto Fico, ma anche personaggi meno strutturati come l’ex ministro Toninelli, che in queste concitate ore hanno provato a cercare un punto di intesa tra il Fondatore e il leader in pectore.
Un compito che è sembrato fin dal primo momento talmente impervio da apparire un azzardo, ma che conteneva un forte valore politico: se infatti la mediazione fosse andata in porto, forse i cocci dei pentastellati avrebbero potuto essere reincollati e i mediatori avrebbero assunto un rilievo notevole, tale da farli risultare i veri king maker della situazione.
Non è andata così. Anzi è andata al contrario. Il ruolo e la figura degli autopromossisi conciliatori è stata, si potrebbe dire alla siciliana, “mascariata” cioè sfigurata non solo da Beppe Grillo che di democrazia mediata non vuol sentir parlare e figuriamoci se accetta balletti di possibili sensali accanto, sopra o di lato a lui. Ma anche dallo stesso Giuseppe Conte che alla fine ha dismesso lui stesso i panni del negoziatore che pure gli sono stati sempre dipinti addosso e gli stavano a pennello, per sbottare tutto il suo disappunto e la forza della critica nei confronti del Garante di tutti, tranche che di lui.
Ecco, appunto. Franco Marini, ex segretario Cisl ed ex presidente del Senato purtroppo recentemente scomparso, diceva che per mediare occorre avere una grande forza. Tutto il contrario di quel che è accaduto. La forza per intavolare una trattativa con intenti pacificatori sia Di Maio sia Fico non l’hanno mai avuta, né nei riguardi di Grillo e neppure nei confronti di Conte. Sono rimasti nella terra di nessuno e nessun risultato hanno prodotto.
Ora assistono allo sbriciolamento della casa paterna terremotata dal sisma della superbia e dell’orgoglio. Il punto è che le macerie finiscono anche e soprattutto sulle loro spalle. Con la plateale rottura verso l’ex premier, infatti, l’Elevato ha fatto anche terra bruciata di una classe dirigente che in qualche misura tentava di emanciparsi e conquistarsi autonomi margini di manovra.
Al dunque la scudisciata di Grillo rappresenta un mastodontico richiamo all’ordine per tutti. Nel senso che è stata riconfermata la caratteristica di una forza politica che non ammette figure intermedie tra il Capo e i seguaci. C’è Grillo che fa e disfà, e agli altri non resta che ubbidire, adeguandosi. Altrimenti vengono espulsi. Addirittura Di Maio sente ora il fiato sul collo del Pd, il partito che più risulta danneggiato dall’esplosione grillina e da mediatore finisce per diventare traditore perché sospettato di potersi/volersi rialleare con Salvini con il quale non ha mai rotto i ponti.
Sono suggestioni che sfociano nella malignità. Perché appunto adesso più che mai Di Maio e quelli come lui possono essere richiamati all’ordine da Grillo magari inserendoli della quaterna dei dirigenti, la cupola che deve amministrare il grillismo tornato sotto l’egida esclusiva di chi l’ha immaginato e fondato.
Fare i mediatori nel MoVimento è impossibile. E forse diventa impossibile anche essere interlocutori nei confronti di possibili alleati. Perché alla fine Grillo decide e il resto della compagnia deve eseguire. È una lezione amara ma in fondo prevedibile. Di Maio, Fico e tutti gli altri guardandosi allo specchio devono costruirsi una nuova identità, che assomigli il più possibile a quella di chi li ha portati al potere.