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Non solo le nomine. Applichiamo il metodo Draghi alle riforme

Se sulla Pubblica amministrazione Brunetta ha già tracciato il suo programma, su fisco e giustizia vorremmo conoscere in modo inequivocabile le proposte dei “migliori”, prima che la palude parlamentare faccia il suo corso. Scrive Antonio Mastrapasqua, manager ed ex presidente Inps

Di che cosa abbia bisogno l’Italia, Mario Draghi lo sa bene. Lo ha detto per sei anni nelle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, lo ha ribadito, da un osservatorio ancora più alto, dal 2011, come Presidente della Bce.

Quando indica le riforme da fare – della Giustizia, della Pubblica Amministrazione, del Fisco – è evidente che abbia le idee chiare. Ascolta, come tutte le persone autorevoli sanno fare, ma il suo sguardo è millimetrico, sembra dover solo aggiustare le formule, la liturgia. La sostanza sembra averla già tutta in mente. A prova di confronto, senza sottrarsi al confronto. D’altronde il Governo che presiede è stato indicato come quello dei “migliori”, non tanto per la media qualitativa di tutti i suoi ministri (alcuni, a dir il vero, probabilmente assai sotto la soglia della mediocrità), quanto per la presenza di alcuni (pochi) campioni riconosciuti. A partire dal premier.

Di sicuro a capo dei Dicasteri ai quali si devono intestare le “super-riforme” ci sono tre “super-ministri”: Cartabia, Brunetta, Franco. Qualche altro “campione” – Colao e Cingolani – talvolta dà l’idea di giocare fuori ruolo. Magari per necessità. L’innovazione tecnologica attraversa la Pa come la Salute, la Pubblica Istruzione come le Infrastrutture. La transizione ecologica è materia che deborda dalla vecchia etichetta di “ministero per l’Ambiente”, ma nella sua tracimazione si diluisce nelle grandi scelte di Governo, più che del singolo Ministero.

Proprio per questo, per la Giustizia, per la Pa e per il Fisco ci aspettiamo le “proposte” del Governo, piacciano o non piacciano al mainstream di giornalisti e opinion maker e influencer. Parlamentari compresi. Anzi ai parlamentari toccherà il compito – e il ruolo dovuto – del Legislatore, quindi del “correttore” (non sempre in meglio, purtroppo) delle proposte dell’Esecutivo. Ma ecco che vorremmo conoscere in modo inequivocabile le proposte dei “migliori”, prima che la palude parlamentare faccia il suo corso.

Brunetta, con buon anticipo, ha tracciato il suo programma di riforma – dalle nuove assunzioni di qualità (la riforma dei concorsi è già legge) alla semplificazione dei processi come strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni.

Su Fisco e Giustizia spiace di vedere ancora sul tavolo un “gioco al buio”. Il tema della riforma fiscale è stato subito inquinato dai suggerimenti (apparsi non graditi a Palazzo Chigi) del leader del partito che si vorrebbe prendere la paternità del Governo Draghi. Enrico Letta ha di fatto buttato sul piatto, per l’ennesima volta, l’idea di una patrimoniale. Congelando ogni altri tema di confronto. Sarebbe buona cosa poter conoscere quale architettura di riforma stia preparando il Mef, sicuramente di concerto con Palazzo Chigi.

Che dire della Giustizia? Potrebbe essere il tema più spinoso. Si sa che la maggioranza eterogenea che sostiene il Governo dei migliori include giustizialisti e garantisti di tutti i gradi. A maggior ragione sarebbe utile capire la soluzione che immaginano i “migliori”. Sul tavolo ci sono cinque capitoli distinti, per qualificare la riforma della Giustizia: per cinque gruppi di lavoro istituiti dalla ministra Cartabia. Processo penale, processo civile, magistratura onoraria, funzioni del Csm, diritto fallimentare e crisi d’impresa.

Ma anche solo a partire dalla riforma della giustizia civile sembra che gli scogli non siano semplici. Forse è il tema di maggiore urgenza economica. La lentezza del processo civile è uno dei fattori che rendono l’Italia un Paese dove gli investimenti stranieri sono più timidi (un 20% in meno di Spagna e Francia, almeno). Il capitolo della giustizia penale è quello più urticante: sono in gioco le regole stesse della democrazia e del rispetto dei cittadini e dei loro diritti individuali. Oltre l’equilibrismo politico forse gli italiani avrebbero il diritto (appunto) di conoscere l’orientamento dei “migliori” e non dei faziosi, di cui hanno una fresca memoria.

Intravvedere qualche anticipazione sui giornali non aiuta a un rapporto franco e diretto tra cittadini e Istituzioni. L’obiettivo del compromesso è tutto della politica. È auspicabile che si possa vedere una strada maestra – da cui magari derogare in Parlamento per trovare le sintesi della politica – che indichi il “meglio” prima del possibile?

Il metodo Draghi sulle nomine – ascolto tutti, decido io – non potrebbe applicarsi anche alle proposte di riforma del Fisco e della Giustizia?


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