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Niente remi in barca, ma la stretta è vicina. La mossa della Fed

Al termine del Fomc, il governatore Powell conferma il costo del denaro tra lo 0 e lo 0,25%. Ma lancia un messaggio preciso: se il surriscaldamento dei prezzi diventerà strutturale, allora la stretta sarà inevitabile. Janet Yellen è pronta, ma Wall Street no

Jerome Powell il paziente. La pandemia non è ancora finita, i piani pandemici di Joe Biden, all’esame del Congresso, non sono ancora entrati in azione. Tanto basta a continuare a sostenere l’economia, con denaro a costo zero, o quasi, e acquisti di titoli su larga scala. E così, nella serata italiana, primo pomeriggio negli Stati Uniti, arriva la conferma dell’avanti adagio della Federal Reserve.

L’inflazione americana ha ripreso a macinare (qui l’intervista a Ignazio Angeloni, ex membro del consiglio di sorveglianza della Bce) nessuno lo nega, eppure non è tempo di giocare di rimessa, bisogna stare ancora in attacco. Ancora per un po’, però, perché la svolta monetaria è all’orizzonte e non servono gli analisti sulle coffe per convincersene.

Al termine del Fomc, il braccio monetario della Federal Reserve, Powell ha inchiodato nuovamente i tassi di interesse allo 0-0,25%, confermando gli acquisti di titoli (80 miliardi di dollari al mese di bond più 40 miliardi di asset). E questo perché i rialzi dell’inflazione sono stati di nuovo considerati come transitori, con una decisione presa all’unanimità.

Ma dietro l’angolo, il messaggio. “Se vedessimo segni che l’andamento dell’inflazione o le aspettative di inflazione di lungo termine si muovono in modo notevole e persistente al di sopra i livelli coerenti con il nostro obiettivo, saremo pronti a modificare l’orientamento della politica monetaria”. Ecco, dunque la svolta. Al primo cenno di surriscaldamento strutturale dei prezzi, pronti a tirare fuori dal cassetto la stretta, alias aumento dei tassi. Powell non ha nascosto l’incremento, su scala globale, delle materie prime che può essere un problema, al punto di “aumentare la possibilità che l’inflazione diventi più elevata o sia più persistente di quanto ora ci aspettiamo”.

Ed ecco le proiezioni sull’inflazione che per ora non spaventano la Fed: 3,4%, dal 2,4% di marzo per quest’anno, 2,1% dal 2% per il 2022 e 2,2% dal 2,1% per il 2023. La Fed non immagina quindi che si possa superare la soglia di tolleranza del 2,5%. E corre anche il Pil, altro motore dell’inflazione: +7%, dal 6,5% di marzo per quest’anno, 3,3%, invariato, per il 2022, e 2,4%, dal 2,2% per il 2023. La disoccupazione dovrebbe passare dal 4,5% di quest’anno al 3,8% del prossimo al 3,5% del 2023, con un livello sostenibile del quattro per cento.

Al Tesoro americano si dicono pronti. “Se finissimo in un contesto di tassi di interesse leggermente più alti, sarebbe in realtà un vantaggio dal punto di vista della società e dal punto di vista della Fed”, aveva detto una settimana fa il segretario Janet Yellen. Forse lo sono meno i mercati: il Dow Jones di Wall Street ha chiuso in calo dello 0,7%.

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