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Perché il governo americano ha bloccato dei siti iraniani?

Gli Stati Uniti ordinano il blocco di diversi siti gestiti dall’Iran e considerati una minaccia per la democrazia americana perché diffondono disinformazione

Più di tre dozzine di siti internet sono stati bloccati dal dipartimento di Giustizia statunitense con l’accusa di diffondere disinformazione a favore dell’Iran. Di questi, 33 erano gestiti dal Servizio radiotelevisivo islamico di stato, mentre tre erano riconducibili alla Kataib Hezbollah, una milizia sciita irachena con collegamenti con le Sepāh (il corpo militare teocratico di Teheran); un altro almeno, Masirah TV, è collegato ai ribelli yemeniti Houthi (che hanno ricevuto assistenza militare dall’Iran).

I siti sono stati oscurati, e online è apparsa una notifica che avvisava del blocco del dominio a causa di un’operazione di polizia degli Stati Uniti. Tra quelli che hanno subito il provvedimento il più noto è Press TV, un’emittente televisiva che trasmette all-news in lingua inglese ed è di proprietà dell’Islamic Republic of Iran Broadcasting, IRIB, ossia la compagnia di stato responsabile dei media. Pochi giorni fa era stata bloccata là pagine Facebook dell’emittente.

Dal punto di vista giuridico la decisione è stata presa perché tutti i domini appartenevano a società basate negli Stati Uniti che però — secondo la Giustizia americana — non avrebbero ricevuto le licenze di trasmissione necessarie. L’Iran ha protestato contro quella che ha definito un’azione coordinata contro la propria sovranità.

Si tratta di una mossa attesa da tempo da parte dell’amministrazione Biden: utilizzare alcuni degli strumenti che l’America ha nell’ospitare gran parte di Internet per combattere i Paesi canaglia che abusano della rete per campagne di disinformazione. L’aspetto notevole è che questa decisione arriva a pochi giorni dal voto presidenziale iraniano e mentre i colloqui per la ricomposizione dell’accordo nucleare Jcpoa procedono con la tempistica stretta di trovare una quadra prima dell’avvio della presidenza del neo-eletto Ebrahim Raisi.

L’attuale Casa Bianca ha più volte espresso la volontà di tornare a una forma di dialogo con Teheran (che sarà più complicata con la vittoria del conservatore Raisi), ma allo stesso tempo ha messo in chiaro di non essere intenzionata a bruciare le tappe del processo. Anzi, ha specificato che alcune forme sanzionatorie non collegate al nucleare porrebbero comunque restare in piedi anche se gli Usa rientreranno a far parte dell’intesa — da cui l’amministrazione Trump era uscita in forma unilaterale nel maggio 2018.

Quella contro i media iraniani è una mossa che Washington inquadra come una necessità a difesa della sicurezza nazionale, perché identifica la disinformazione trasmessa da quei siti come una minaccia alla democrazia americana — che si moltiplica con i tanti siti statunitensi che trasmettono costantemente notizie alterate in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica.

Per anni, almeno dal successo della Russia nell’uso dei social media per influenzare aspetti delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, Mosca, Pechino, Pyongyang e Teheran hanno utilizzato vari livelli di social media per cercare di avere un impatto sistematico sulle collettività statunitensi.

La questione è più ampia del confronto Usa-Iran, si allarga a un tema di protezione della democrazia che l’amministrazione Biden ha elevato a priorità. Tuttavia influenza i rapporti tra i due Paesi, e testimonia come gli Stati Uniti del presidente democratico su certi aspetti non hanno intenzione di allentare la presa su Teheran.

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