Il piano dedica attenzione al problema, richiamando l’applicazione dei protocolli di legalità, potenziando le strutture amministrative e la magistratura sul territorio, e rafforzando la filiera dei controlli e della tracciabilità della spesa
Con grande sollievo è stato accolto il via libera della Commissione Europea al Pnrr italiano, che pur con le sue debolezze rappresenta una pietra miliare nel passaggio a una coerente pianificazione dei molti interventi necessari per fare uscire l’economia dalla stagnazione degli ultimi decenni ed avviarla a un rapido sviluppo. Per Bruxelles rimangono solo alcuni dubbi sulla congruità dei costi indicati per le diverse misure, ma per tutti i paesi è difficile stabilire ex ante quale sia il loro giusto livello in rapporto a criteri di efficienza ed efficacia.
Uno dei costi di difficile quantificazione è proprio l’impatto che due patologie che affliggono la spesa pubblica possono avere sulla dimensione dei costi di realizzazione degli investimenti pubblici, ovvero la corruzione e l’inquinamento del mercato, e anche della pubblica amministrazione, da parte di organizzazioni criminali. Il Piano dedica attenzione al problema, richiamando l’applicazione dei protocolli di legalità, potenziando le strutture amministrative e la magistratura sul territorio, e rafforzando la filiera dei controlli e della tracciabilità della spesa. Nulla di nuovo rispetto a quanto già esistente a livello di modalità e pochi dettagli sui termini dell’azione concreta di contrasto dell’illegalità negli appalti e nelle commesse. Implicitamente si ritiene che le misure già in essere siano adeguate ed abbisognano solo di maggiori risorse umane per assicurarne l’efficacia. Appesantire le procedure con nuove prescrizioni e filtri sarebbe stato, inoltre, in contrasto con l’esigenza di semplificare e dare speditezza all’attuazione degli interventi.
Tuttavia, i segnali più recenti che provengono da alcune istituzioni pubbliche, quali l’Anac, la Guardia di Finanza e la Dia, mostrano che le due patologie sono più gravi di quanto lascino intendere gli interventi del piano governativo, al punto da richiedere un’azione mirata e molto più consistente di quanto programmato. La posta in gioco è notevole perché comprende ben 62 miliardi di investimenti pubblici per realizzare 101 opere, che per il 56% si concentrano nelle aree del Mezzogiorno, proprio quelle che appaiono le più esposte ai rischi.
Un quadro molto dettagliato del rischio rappresentato dalla corruzione è tracciato nella lunga relazione dell’Anac, presentata alcuni giorni or sono. Naturalmente il fenomeno non è facilmente tracciabile perché si basa sull’occultamento di pratiche illegali o illecite, volte all’arricchimento personale a scapito del bene collettivo. Le misurazioni più note a livello internazionale, come quelle di Transparency International, si fondano su opinioni e percezioni piuttosto che su dati reali, e forniscono un giudizio non lusinghiero per il Paese. Lo collocano, infatti, in coda alle grandi economie europee (nella classifica di minore diffusione della percezione di corruzione: 52 su 180), ma in deciso miglioramento nell’ultimo decennio. L’Anac va oltre le percezioni per tentare di misurare il fenomeno attraverso “indicatori oggettivi” desunti dalle attività degli enti responsabili dell’assegnazione e gestione dei contratti pubblici. Alcuni dati sono tratti dall’attività di vigilanza della stessa Autorità e quindi per sé stessi selezionati a fini indicativi.
Nel 2020, anno di drastica riduzione dell’attività economica e di restrizioni, contrariamente alle attese il numero di segnalazioni di fatti illeciti è quintuplicato rispetto al precedente (622 contro 125), sviluppo che seppure parzialmente distorto da finalità personali del denunciante, sembra significativo di una realtà occulta ancora consistente. Anche i 213 procedimenti avviati nell’anno per carenze nella trasparenza degli appalti appare indicativo. Modesto, invece, il numero delle sanzioni disposte (30) che riflette la preferenza dell’Autorità per un approccio collaborativo verso le amministrazioni pubbliche. Di particolare interesse è, piuttosto, la metodologia sviluppata per quantificare i rischi di corruzione, che fa uso di tutte le tecniche statistiche e digitali per mappare le aree più esposte sia a livello territoriale, sia rispetto alle fasi di un procedimento di assegnazione di appalti o commesse. In particolare, si è costruito un sistema di indicatori che si basano sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici e misurano l’incidenza sul totale per i contratti aggiudicati secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per quelli con procedure negoziate e per quelli aggiudicati e modificati a causa di varianti, il divario per ciascun appaltante del costo medio effettivo e del tempo medio di completamento del contratto rispetto a quelli preventivati, l’incidenza delle gare in cui ha partecipato una sola offerta, o in cui sono state escluse tutte le offerte tranne una, l’inadempimento degli obblighi di comunicazione delle gare ed aggiudicazioni alla Banca dati, la durata delle pubblicazioni dei bandi, il grado di concentrazione delle aggiudicazioni a una stessa impresa e la durata relativa del processo di valutazione delle offerte.
Questi indicatori riguardano tutte le zone del Paese e sono integrati da altri rilevamenti sulle condizioni di contesto per individuare anomalie negli andamenti territoriali rispetto a quelli complessivi. Su questa base l’Autorità ipotizza che si possa stimare l’inclinazione alla corruzione nei vari territori ed individuare la presenza di fattori particolari che contrastino con la precedente indicazione. Le condizioni del contesto territoriale sono ampie, abbracciando non solo l’economia, ma il lavoro, l’istruzione, il capitale sociale, l’ambiente e la criminalità. Dalla costruzione di un simile indice composito risulta che tutte le zone del Centro-Sud e delle Isole presentano un rischio ben più elevato di quelle del Centro-Nord. Considerato che più della metà degli investimenti pubblici sono destinati al Mezzogiorno è evidente che per ottenere efficienza ed efficacia di spesa non sono sufficienti gli interventi consueti su cui si appoggia il Pnrr, ma bisogna prevedere un piano di vigilanza rafforzata ad hoc.
L’altro fattore di rischiosità è legato all’invadenza delle organizzazioni criminali, che non appare aver subito sostanziali ridimensionamenti neanche durante la crisi economica, come testimoniano gli ultimi rapporti della Guardia di Finanza e della Dia relativi al 2020. La prima istituzione riporta che oltre alle frodi nella spesa previdenziale, sanitaria e di assistenza pubblica, ha rilevato appalti irregolari del valore di circa 5 miliardi, ha denunciato 3.525 persone per reati attinenti a corruzione, appalti e altri atti a danno della PA, e ha ottenuto il sequestro di beni per 284 milioni. Per il contrasto alle mafie, ha provveduto a eseguire sequestri per 1,5 miliardi e ne ha proposto altri per 2,2 miliardi. Queste evidenze riguardano un periodo in cui la spesa pubblica non ha raggiunto le vette a cui dovrebbe arrivare una volta attuati gli interventi previsti dal Pnrr. È facile immaginare quanto più intensa dovrebbe essere l’attività di contrasto quando si entrerà nel pieno della realizzazione del programma di opere pubbliche.
L’ultima relazione della Dia si sofferma sulle tecniche impiegate dalla criminalità organizzata per infiltrarsi nella realizzazione delle opere pubbliche. Una modalità recente è quella della partecipazione a consorzi di imprese, mentre quella tradizionale consiste nello sfruttare i subappalti, i noli, fornitura di materiali e trasporti, annullando la concorrenza. La turbativa dei processi di aggiudicazione dei contratti pubblici è un’altra modalità che ha rilevanza nel quadro dell’attuazione del Pnrr. Il ricorso alle certificazioni antimafia è risultato in crescita nel primo semestre del 2020, col risultato dell’emissione di 384 interdizioni di imprese, che si concentrano per oltre il 72% nell’area del Mezzogiorno. Se le attività di estorsione, traffico di droga e le altre tradizionali hanno subito una riduzione a causa delle restrizioni sanitarie, l’infiltrazione nell’economia legale e nella PA si è accentuata, particolarmente attraverso la corruzione e col riciclaggio di denaro sporco. La semplificazione delle procedure per l’assegnazione rapida degli aiuti alle imprese colpite dal lockdown ha creato nuove opportunità d’inserimento di soggetti criminali per la carenza di controlli. In aumento anche le segnalazioni di operazioni sospette nella movimentazione di fondi.
Uno dei rimedi suggeriti dalla Dia per contrastare le infiltrazioni mafiose è la completa digitalizzazione delle gare, una modalità che è coerente col piano di digitalizzazione della PA finanziato dal Pnrr, ma che non sembra del tutto risolutiva delle patologie nella successiva gestione dell’appalto. Digitalizzare un procedimento lo rende snello, più rapido delle alternative e più facilmente monitorabile; tuttavia, non assicura la congruità e la correttezza dei contenuti, in analogia a quanto si osserva nell’impiego della tecnica del blockchain. La tracciabilità dei passaggi in una filiera non garantisce che il risultato sia indenne da inquinamenti nella sostanza. Nel Pnrr, inoltre, non si chiarisce come affrontare i problemi nella fase di esecuzione delle opere fino al completamento secondo i contratti. Le attività criminali delle mafie non si fermano alla sola fase di aggiudicazione, ma colpiscono le imprese aggiudicatarie anche durante lo svolgimento dei lavori, soprattutto se le imprese sotto il loro controllo sono state escluse. Nel passato non sono mancati i casi di attacchi a fini estorsivi condotti contro le attrezzature dei cantieri o contro le maestranze, fino al punto da determinare indebite maggiorazioni dei costi compensate con l’abbassamento della qualità delle opere, oppure inducendo all’abbandono dell’appalto da parte dell’impresa assegnataria. Inoltre, fenomeni corruttivi e comportamenti mafiosi possono inquinare la verifica della rispondenza dei lavori ai requisiti previsti nei contratti pubblici, col risultato che dopo pochi anni le opere palesano un eccessivo degrado e difetti di esecuzione.
Prevenire e contrastare le distorsioni dei fondi destinati agli investimenti pubblici per effetto della corruzione e delle mafie è un’opera complessa, che richiede un piano specifico, articolato, con largo impiego di mezzi e un coordinamento di diverse istituzioni, un piano purtroppo assente nel Pnrr. Occorrono pure sanzioni veramente deterrenti per i funzionari pubblici, sanzioni che attualmente non esistono. È pur vero che l’arma migliore consiste nel diffondere nella società la cultura della legalità, selezionare i quadri della PA esclusivamente sulla base del merito e delle competenze, premiare l’efficienza, instillare la cura del bene pubblico come obiettivo prioritario dell’attività di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica. Sono, tuttavia, fattori in grande penuria, specialmente nel Mezzogiorno, e richiedono tempi lunghi. Nell’attesa che attecchiscano è necessario nel breve termine integrare il Pnrr con una strategia ad hoc.