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Power spiega al Brussels Forum il ruolo strategico di UsAid

Perché l’agenzia per lo sviluppo dell’amministrazione statunitense è così importante? Perché permette a Washington di lavorare con tanti Stati che altrimenti si avvicinerebbero troppo alle lusinghe dei rivali

“Grazie al segretario Austin per aver sempre riconosciuto e sostenuto il ruolo che lo sviluppo gioca nella nostra difesa” ha twittato Samantha Power, direttrice di UsAid dopo l’incontro con il capo del Pentagono, Lloyd Austin. Power, ex rappresentante permanente degli Stati Uniti all’Onu (sotto l’amministrazione Obama, dal 2013 al 2017), ora guida l’agenzia del governo americano per lo Sviluppo Internazionale. Fondata nel 1961 su ordine esecutivo da JFK, UsAid ha come obiettivo combattere la povertà globale per creare, attraverso una maggiore diffusione della prosperità, sviluppo e prospettive di crescita migliori per le società democratiche.

Un elemento centrale per un’amministrazione come quella Biden che ha elevato la tutela delle democrazie a vettore di politica internazionale. Un fattore cruciale per la sicurezza globale (e dunque per la difesa nazionale statunitense), come evidenziato dal racconto dopo l’incontro con Austin. Soprattutto adesso che il Covid ha segnato le faglie profonde delle disparità mondiale; che la rincorsa tecnologica è elemento di competizione tra Democrazie e sistemi autoritari; che condizioni di tensione si moltiplicano creando potenziali fronti esplosivi dall’Etiopia al Mediterraneo, dal Sudest asiatico all’Eurasia o al Sudamerica.

Intervenendo al Buressels Forum organizzato dal German Marshall Fund con la media partnership di Formiche, Power ha allargato il discorso sulla necessità di affrontare la richiesta di democraticità che collettività come quelle russe o bielorusse avanzano contro i loro leader autoritari (Vladimir Putin e Aleksander Lukašenka) e davanti alla crescente “assertività globale” del Partito/Stato cinese — che per i paesi in via di sviluppo si propone, anche sfruttando la cosiddetta “vaccine diplomacy”, come un modello alternativo a quello del sistema di valori, pesi e contrappesi delle democrazie occidentali.

“Si vede il ribaltamento nella regione — ha detto Power durante l’evento del Gmf, raccontando di essere appena rientrata dal Sudamerica — e la pressione della Cina affinché le persone spostino il loro riconoscimento da Taiwan alla Cina. Ma in tutta l’Africa sub-sahariana, in tutta l’America Latina, e questo non è senza impatto sulle tendenze in quanto parte di ciò che gli investimenti assicurano, o almeno ciò che la Cina ha chiesto, sono voti all’interno delle Nazioni Unite”. La funzionaria dell’amministrazione Biden fotografa una realtà: la Cina sposta investimenti in paesi in via di sviluppo anche con l’obiettivo di ottenere in cambio consensi all’interno delle organizzazioni multilaterali internazionali — dove per Pechino si giocano partite identitarie ed esistenziali, come appunto il non-riconoscimento di Taiwan.

La partita è molto ampia, riguarda la proiezione internazionale statunitense globale, su cui agenzie come UsAid svolgono un ruolo centrale, in quanto forme di assistenza internazionale attorno a cui si gioca il soft e l’hard power. E in questo gli attori rivali, come Cina e Russia, giocano una partita simmetrica, cercando di penetrare certi contesti politici, economici, sociali, culturali. Partita che, come dimostrano i recenti contatti Usa-Ue, gli americani intendono giocare insieme agli alleati europei.

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