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Quale futuro per il petrolchimico di Porto Marghera?

Secondo Pirani (Uiltec) il progetto per un hub dell’idrogeno a Porto Marghera costituirebbe un’ipotesi di alto livello e vaste potenzialità. In quest’ottica sarebbe consequenziale un piano di assunzioni rivolte alle nuove generazioni e caratterizzato da competenze innovative

Il sito petrolchimico di Marghera potrebbe cambiare volto, dato che l’Eni avrebbe intenzione di investire sul posto almeno 470 milioni di euro per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni correlate..

I DUBBI DEL SINDACATO

L’Eni e Versalis sono al lavoro per raggiungere obiettivi sostenibili. I sindacati si sono mobilitati contro i rischi di questa scelta. “Confermiamo il nostro appoggio ai processi di trasformazione tecnologica ed ambientale – ha affermato Giampietro Gregnanin, segretario regionale Uiltec Veneto nel coso di una manifestazione tenuta a Roma il mese scorso – ma ribadiamo chiaramente che non c’è percorso di trasformazione che possa prescindere da regole ed azioni certe. I lavoratori non accetteranno azioni in due tempi: non è assolutamente ricevibile il principio per cui prima chiudo le attività e poi costruisco le possibili riconversioni. Il settore chimico italiano rappresenta un patrimonio di tecnologia, ricerca, innovazione ed occupazione irrinunciabile, sia per la chimica di base che per le ‘specialties’ che ne derivano”.

I PROGETTI DI VERSALIS

Versalis, società del gruppo Eni, in particolare, pensa a nuovi poli di trasformazione della vecchia chimica, non solo per il sito veneto di Porto Marghera, ma anche per quello di Gela in Sicilia. Per quest’ultimo si pensa al biojet, mentre per Porto Marghera si guarda ad un sito di riciclo delle plastiche, ad un hub logistico per la distribuzione di prodotti e ad un centro per la manutenzione per i siti italiani. “Marghera fa parte della strategia di trasformazione di Eni, che avverrà con numerose iniziative”, ha detto Adriano Alfani, ad di Versalis, annunciando la chiusura degli impianti del cracking e degli aromatici. Non ci saranno conseguenze sull’occupazione, ha assicurato, perché “la trasformazione chimica è una opportunità per gestire l’intera occupazione diretta”. La motivazione strategica del piano per la laguna veneta è sintetizzata in un taglio di 600mila tonnellate all’anno di CO2 “una concreta opportunità per dare valore al sito e aumentare il valore di Eni”. Di certo è evidente la prospettiva dedicata alle energie rinnovabili rinnovabili, ma risulta altresì certa la cessazione delle vecchie produzioni. Di sicuro il sindacato sottolinea che deve trattarsi di una strategia che non determini assolutamente la chiusura degli impianti.

PIRANI VUOLE DISCUTERE DI SVILUPPO

“Occorre – ha sostenuto ripetutamente Paolo Pirani – che la progettualità coincida con la conseguente fattibilità relativa al futuro del sito in questione dopo che abbiamo ascoltato dall’azienda la decisione di chiudere gli impianti di cracking. Il sindacato non può partecipare al cronoprogramma della suddetta chiusura che va dal mese di giugno a quello di settembre prossimi, perché non vogliamo discutere solo degli ammortizzatori sociali che serviranno, ma della programmazione di reale sviluppo. Al centro della prospettiva devono esserci sia le persone occupate sia la produzione energetica”. Il dibattito è aperto.

L’IPOTESI DELLA PRODUZIONE DI IDROGENO

Per dare un sostanziale contributo al piano di decarbonizzazione sostenuto dal gruppo guidato dall’ad Claudio Descalzi da più parti all’interno dell’azienda si è fatto presente che non si vuol perdere l’opportunità relativa alla produzione dell’idrogeno. E non sarebbe una scelta di poco conto. Solo per fare un’esempio, Fincantieri ha avviato, presso Area Science Park, un laboratorio in collaborazione con l’Università di Trieste, con l’obiettivo di testare impianti di generazione basati su differenti tipologie di “fuel cell”. Perché la rivoluzione economica, tecnologica e sociale legata alla rete dell’idrogeno è fondamentale nel percorso della carbon neutrality. Puntando sull’aumento del grado di elettrificazione delle navi e sull’uso di vettori energetici sostenibili, le aziende smart possono cogliere grandi opportunità. E dal punto di vista progettuale, il gruppo navalmeccanico guidato da Giuseppe Bono punta proprio a una maggiore sostenibilità ambientale di navi cruise, mega-yacht, traghetti, ferry e navi da ricerca oceanografica, attraverso la riduzione delle emissioni di gas-serra, degli ossidi di azoto e zolfo, e di particolato. L’idrogeno applicato alla propulsione delle navi e al risparmio energetico è uno scenario che il più importante gruppo cantieristico navale europeo sta disegnando industrialmente grazie a progetti in materia di innovazione e di energia verde da finanziare con il Recovery Fund. L’aspetto produttivo in tal senso è rappresentato da Zeus – Zero Emission Ultimate Ship, un’unità navale sperimentale alimentata tramite fuel cell per la navigazione in mare, prima nel suo genere. Lunga circa 25 metri e pesante circa 170 tonnellate, ZEUS sarà per Fincantieri un laboratorio galleggiante che acquisirà informazioni sul comportamento nell’ambiente reale delle “fuel cell” – dispositivo elettrochimico che permette di ottenere energia elettrica direttamente dall’idrogeno senza processo di combustione termica.

UNA POSSIBILE SINERGIA PRODUTTIVA TRA ENI E FINCANTIERI?

In prospettiva, non sarebbe un’utopia ritenere che le strade di Eni e Fincantieri potrebbero determinare un’interessante sinergia strutturata nell’area del Nord Est, basata sull’asse Trieste-Venezia. “Al momento sono solo ipotesi -ha chiosato Paolo Pirani- perché prima viene il confronto fattivo con Eni e Versalis sullo stato degli impianti nel tempo presente e solo dopo possiamo programmare le cose possibili per il tempo che verrà. È evidente che il progetto per un hub dell’idtrogeno a Porto Marghera rappresenti un’ipotesi di alto livello e vaste potenzialità. In quest’ottica sarebbe consequenziale un piano di assunzioni rivolte alle nuove generazioni e caratterizzato da competenze innovative”.

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