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Recovery e 007. Borghi (Pd) e l’intelligence economica by Draghi

Non bastano gli investimenti, i sussidi, il Recovery plan europeo. Bisogna ripartire in sicurezza, e per farlo serve un aggiornamento dell’intelligence economica italiana, passando dalla difesa all’attacco. Il commento dell’On. Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Pd e componente del Copasir

Follow the money! Basterebbe rievocare questo classico, per sintetizzare in una battuta una delle conclusioni emerse dal ciclo di conferenze che come Partito Democratico abbiamo organizzato in questo mese di giugno, e che hanno fatto emergere – tra le varie proposte che porteremo in Parlamento – l’esigenza che l’Italia si doti nel più breve tempo possibile di una specifica “intelligence economica”.

In un contesto macro-economico e geopolitico come quello attuale, caratterizzato da elevata velocità negli scambi, inasprimento della concorrenza, forte interdipendenza dei mercati finanziari mondiali e da continue tensioni nelle relazioni commerciali, diplomatiche e sociali, l’intelligence economico-finanziaria diventa un vero e proprio “bene strategico”, ed un vero e proprio fattore di competitività dei singoli Stati nei teatri di confronto internazionali nel quali oggi la forza di un Paese di esprime non tanto sulla base della sua autorevolezza bellica quanto, piuttosto, sulla sua potenza economica.

Ce ne siamo accorti in questo ultimo anno e mezzo, quando il governo – recependo un indirizzo del Parlamento attraverso l’espressione del Copasir – si è preoccupato di irrobustire la specifica normativa della “Golden power” nei settori di rilevanza strategica, in un’ottica di protezione dei player da scalate ostili e da manovre speculative spesso orchestrate dall’esterno.

Dentro questo nuovo paradigma, l’intelligence è chiamata a confrontarsi con una minaccia diversa dal passato che, sia pur sempre orientata all’accrescimento della ricchezza e del benessere di un Paese in danno di un atto, non mira a conquistare terre o nuove popolazioni o bersagli militari ma punta a colpire interessi commerciali, industriali, tecnologici e finanziari.

La conflittualità viene così trasformata in una vera e propria “guerra economica”, concetto peraltro postulato per la prima volta in Francia e talmente radicato da costituire, ancora oggi, parte integrante della cultura accademico-aziendale transalpina.

Dal 1997, infatti, a Parigi è attiva l’ “Ecole de Guerre Economique“, che prepara manager e classe dirigente a ricercare e gestire informazioni utili ad un’efficace governo delle imprese.

In questo contesto, la vera “arma” di offesa diventa il controllo delle informazioni e dei dati, a sua volta ricercato attraverso mirate attività di penetrazione nei contesti di volta in volta individuati. Una penetrazione che non si riduce più al “classico” spionaggio industriale, ma che si articola su nuove strategie di ingerenza nei processi operativi e decisionali delle entità target, che puntano a sottrarre know how e tecnologie, a acquisire nuovi clienti, a guadagnare posizioni di influenza in segmenti di business, a conquistare peso monopolistico in specifici settori di attività, a marginalizzare industrie concorrenti, ad accaparrarsi di risorse energetiche, a destabilizzare a proprio vantaggio l’opinione pubblica, a orientare addirittura la politica economica di un Paese nel senso desiderato.

L’intelligence economica è essenziale sia per cogliere e favorire le opportunità connesse all’afflusso di nuovi investimenti e risorse (soprattutto in questi tempi di Recovery Plan) sia per minimizzare i rischi legati all’ingresso nel tessuto economico nazionale di soggetti, capitali e prodotti stranieri.

Occorre infatti essere in grado di individuare eventuali proiezioni estere, anche statuali, rispondenti a finalità extraeconomiche che possono svolgere funzioni predatorie nei confronti di imprese che diventano veri e propri obiettivi per la sottrazione di tecnologie e know how, con inevitabili ricadute sui livelli occupazionali.

Alcuni settori, poi, debbono essere sottoposti all’azione informativa a tutela degli interessi nazionali. Si pensi al comparto delle filiere produttive del settore difesa, sicurezza e aerospazio; al segmento delle telecomunicazioni; ai trasporti; all’energia; al sistema bancario, assicurativo e finanziario. A cui si aggiunge, dopo l’esperienza della crisi pandemica, la filiera della salute (che non a caso è stata recentemente inserita nel perimetro della Golden Power”.

Solo un approccio integrato e strutturato e un raccordo sempre più stretto tra pubblico e privato possono contribuire a migliorare l’efficacia degli interventi posti in essere a protezione degli assetti strategici nazionali, il controllo dei quali appare sempre più vitale per affrontare le sfide che lo scenario geopolitico ed economico post-Covid porrà.

Sfide destinate inesorabilmente a ridisegnare, da qui ai prossimi decenni, gli equilibri di forza a livello mondiale, e che ci fanno capire come l’aggiornamento e l’ammodernamento dei servizi di informazione diventa un elemento decisivo per la capacità di un Paese come l’Italia di reggere la sfida con la competizione globale.

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