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Recovery plan, il rischio faglia tra Italia e resto d’Europa

crisi

È evidente che o l’Italia riuscirà ad agganciare la ripresa sfruttando al meglio l’occasione offerta dal Recovery Fund (di cui siamo i principali beneficiari), o perderà ancora più terreno rispetto ai partner. Anche perché, in uno scenario a doppia velocità che vedesse gli altri Paesi ripartire con forza a fronte di una Italia arrancante, si innescherebbe un pericoloso circolo vizioso

Tutto sommato le previsioni di crescita per l’Italia nel biennio 2021-2022 appaiono abbastanza confortanti. Da una parte, il dato preliminare dell’Istat relativo al primo trimestre 2021 è in miglioramento rispetto alle attese: + 0,1% rispetto al trimestre precedente e – 0,8% rispetto all’anno precedente. Ad Aprile l’Istituto ipotizzava una contrazione dello 0,4% a livello congiunturale e dell’1,4% a livello tendenziale. Parallelamente, a livello europeo, le “Previsioni di Primavera” di recente elaborate dalla Commissione vedono un Pil italiano in crescita del 4,2% nel 2021 e del 4,4% nel 2022. Anche in questo caso si tratta di dati in miglioramento rispetto alle precedenti previsioni della Commissione stessa (3,4% per il 2021 e 3,5% 2022). Ma, il punto essenziale è che la crescita stimata del nostro Pil appare in linea con la media europea (4,3% per il 2021 e 4,4% nel 2022) mentre, negli ultimi anni, siamo sempre cresciuti la metà dei Paesi partner. Anche migliori, infine, le previsioni contenute nelle Prospettive Economiche dell’Ocse, appena pubblicate, che vedono un Pil italiano in crescita del 4,5% nel 2021 e del 4,4% nel 2022.

Tuttavia, per trasformare l’attuale spinta iniziale, di fatto derivante dal rallentamento delle restrizioni anti-Covid, in una crescita solida e duratura, è indispensabile che le misure di emergenza a sostegno del comparto produttivo perdurino sino al termine dell’“allarme rosso”. E, sotto questo aspetto, il Decreto Sostegni 2, che ha riservato ben 25 miliardi alle imprese, sembrerebbe andare nella giusta direzione. Infatti, da una parte, ha rivisto i parametri necessari per accedere ai sostegni pubblici: non si guarderà più solamente al calo del fatturato oltre il 30% che aveva escluso dagli aiuti numerose imprese specie nel settore della ristorazione, ma anche alle effettive perdite registrate dalle aziende. Questo cambio di parametri dovrebbe consentire a circa 370000 imprese, prima escluse dagli aiuti, di accedere ai sostegni del nuovo decreto Draghi. Dall’altra, il decreto ha allungato fino al dicembre 2021 le moratorie sul pagamento delle rate relative ai finanziamenti concessi dalle banche alle imprese. Da evidenziare che, in assenza di questa proroga, una ottima parte dei 121 miliardi di moratorie già concesse sarebbe scaduta entro giugno.

Con la conseguenza che le nostre Pmi si sarebbero trovate davanti ad un tragico bivio: riprendere i pagamenti o rischiare di rimanere avviluppati nella vischiosa ragnatela del credito deteriorato. Misure fondamentali, dunque, ma sempre misure ponte in attesa che parta il booster del Recovery Fund che rimane il vero fulcro attorno al quale dovrà svilupparsi la ripresa della nostra economia. Il problema è che se a causa di tensioni politiche, di una burocrazia di gomma o dell’immobilismo delle Regioni non si riuscisse a “mettere a terra” il Recovery Plan, lo scenario con cui ci troveremmo a confrontarci nell’immediato futuro sarebbe ben peggiore di quello ante pandemia.

Infatti, inevitabilmente, si genererebbe una ulteriore divaricazione tra la nostra economia e quella degli altri partner europei. E questo per una serie di motivi. Innanzitutto, la pestilenza ci ha colpiti più duramente delle altre economie. Non solo perché siamo stati colpiti per primi (la strage di Bergamo), ma anche perché il virus ha trovato terreno fertile in una economia già debilitata dai nostri fardelli strutturali quali scarsa produttività, elevato costo del lavoro, burocrazia insostenibile ecc. Basterà ricordare, a questo proposito, che tra il 1996 ed il 2019 l’Italia ha avuto un calo di peso all’interno dell’Eurozona stimato intorno a 19%. Dopodiché il virus si è concentrato in particolar modo su settori per noi vitali quali turismo e ristorazione. La conseguenza ultima di questo mix esplosivo è stata che, durante la pestilenza, la nostra economia ha subito un crollo di quasi il 9% contro una media europea del 6,6%. Un danno maggiore del 35% rispetto agli altri.

Dunque, non solo eravamo in affanno già alla linea di partenza, ma, durante la pestilenza, il gap negativo con gli altri Paesi europei si è accentuato. Venendo ad oggi, è evidente che o l’Italia riuscirà ad agganciare la ripresa sfruttando al meglio l’occasione offerta dal Recovery Fund (di cui siamo i principali beneficiari), o perderà ancora più terreno rispetto ai partner. Anche perché, in uno scenario a doppia velocità che vedesse gli altri Paesi ripartire con forza a fronte di una Italia arrancante, si innescherebbe un pericoloso circolo vizioso. Infatti, in questo contesto, riprenderebbero vigore le pressioni dei popoli del nord volte ad annacquare le misure di emergenza sin qui adottate a livello europeo. Più in particolare, da una parte, aumenterebbero le pressioni volte ad una riattivazione del Patto di Stabilità oggi sospeso. Dall’altra, quelle volte a ridurre le preziose iniezioni di liquidità della Bce nei sistemi bancari mirate ad impedire il collasso del comparto produttivo. Misure espansive di cui, invece, una Italia in affanno avrebbe ancora bisogno come dell’aria. E la faglia tra noi e il resto dell’Europa si divaricherebbe ulteriormente.

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