Un corpo a corpo con l’obiettivo di estromettere l’altro dal perimetro di combattimento, spingerlo fuori e così rendendolo estraneo, un’icona da venerare salvo poi lasciarla nella sua teca. Uno col miraggio concreto del partito antisistema che colpisce il sistema da dentro. L’altro che sogna un partito al 51%. E se le strade dei due si dividessero…
In fondo la questione del M5S è racchiusa in una domanda al tempo stesso semplice e definitiva, impensabile fino a ieri e adesso diventata dominante: può esistere o no un grillismo senza Grillo, può aver senso e prospettiva un movimento che procede privo della sua anima costitutiva? Se la risposta è no, allora per Giuseppe Conte non c’è alternativa a piegarsi ad un ruolo “esecutivo”, di eterno numero 2 che cammina nel solco tracciato dall’aratro di Marina di Bibbona. Una subalternità insuperabile.
Se invece la risposta è sì, allora sulla parabola politica di Grillo va scritta la parola fine. L’addio ad un equivoco mai sciolto e che ora arriva a consunzione.
Il grillismo senza Grillo è l’ultimo ossimoro della traiettoria di un esperimento che per anni ha sovvertito i normali paradigmi della politica mettendo in discussione l’essenza stessa della democrazia come meccanismo rappresentativo della volontà popolare. Grillo ha messo il Vaffa al posto del confronto, ha issato la bandiera della democrazia diretta al posto di quella parlamentare, ha mantenuto una “doppiezza” consustanziale all’ideologia palingenetica della sua creatura con un piede rivoluzionario e l’altro governativo.
Una marcia per forza di cose sbilenca ma che in una situazione sociale, economica e appunto politica “liquida” ha funzionato da calamita per milioni di italiani. L’apogeo è arrivato quattro anni fa, con quel siderale quasi 33 per cento dei consensi: i Cinquestelle prima forza politica capace di conquistare la cittadella del potere e con in mano le chiavi del Palazzo. Di lì è cominciata la sfida della governabilità e di lì è cominciato il declino. La doppiezza non funziona; di lotta e di governo è una contraddizione che ti svuota, cambiare gli alleati sbriciola ogni identità.
Così il MoVimento è tornato al punto di partenza, alla scelta di un leader che lo rappresentasse ma che fosse consapevole di dover comunque rendere omaggio al Totem dell’Elevato. Persa dopo mille giravolte e contraddizioni la poltrona di palazzo Chigi, arriva adesso il momento della verità. La rivoluzione non si può fare e per tenere insieme almeno i cocci di quello che fu un sogno diventato realtà bisogna cambiare pelle, far rientrare una forza ribelle all’interno dei guardrail del gioco politico tradizionale. Insomma trasformare il Movimento in un partito strutturato con tanto di leadership e organismi dirigenti, dotato di efficace ancoraggio ideale, capace di solidificare la liquidità in una proposta da presentare agli elettori.
Tutta roba che Grillo non solo non può accettare perché snaturerebbe la sua creatura, ma che forse neppure considera. Il suo MoVimento è la realizzazione di una utopia che non può avere argini in quanto per definizione li supera tutti. I giornali descrivono quella in atto tra lui e Conte come una lotta di potere, tra chi deve comandare e cosa. È un’immagine veritiera ma fino ad un certo punto. La realtà è che tra Conte e Grillo si scontrano due impostazioni antitetiche: da un lato quella di chi non vuole abbandonare il miraggio concreto (altro ossimoro ma col grillismo è così) di un cuneo conficcato nella pancia del sistema per espungerne i fluidi venefici; dall’altro chi immagina che una forza politica a due cifre può e deve entrare in campo per giocare la sua partita, anche qui con un miraggio concreto: arrivare al 51 per cento dei voti.
In fondo sono due impossibilità che si avvinghiano come fanno i lottatori di Sumo. Un corpo a corpo con l’obiettivo di estromettere l’altro dal perimetro di combattimento, spingerlo fuori e così renderlo estraneo, un’icona da venerare salvo poi lasciarla nella sua teca. È ovvio che nessuno dei due può accettare un destino simile. Nel caso di Conte poi sarebbe la conferma di una sudditanza imposta che ne tarperebbe le ali. Il rovescio della medaglia del grillismo senza Grillo è però il contismo senza MoVimento.
Se le strade si dividono, l’ex premier può pensare di fondare un suo partito senza però che sia chiaro dove pescherebbe i voti e su quale agibilità potrebbe contare. L’ennesimo partito personale fondato sul carisma dell’uno che varrebbe molto più di chiunque altro. Tenendo conto che da quelle parti quel paradigma c’è già e lo incarna un ex comico. Che forse sarà anche meno lucido di una volta ma che continua a sapere benissimo cosa vuole e come fare per ottenerlo.