Se faticano a convincere alleati e partner a escludere Huawei dal 5G, gli Stati Uniti stanno vincendo la battaglia dei cavi sottomarini nel Pacifico contro la Cina. Ecco come e perché
Gli Stati Uniti hanno probabilmente delle difficoltà a convincere il mondo a bandire Huawei dal 5G, ma sono nettamente i vincitori nella guerra dei cavi sottomarini nel Pacifico. È quanto rileva il sito specialistico LightReading analizzando alcuni ultimi fatti.
Il più recente è la vittoria sull’East Micronesia Cable, cavo di 2.000 chilometri progettato per migliorare le comunicazioni nel Pacifico occidentale tra i Paesi insulari di Nauru, Kiribati e Stati Federati di Micronesia. Il progetto, sostenuto da Banca mondiale e Asian Development Bank, è stato stoppato dopo le preoccupazioni, legate alla sicurezza, di alcuni Paesi sul ruolo di HMN, l’ex unità cavi di Huawei oggi di proprietà di Hengtong Group. Dietro, come ha rivelato Reuters, c’è lo zampino dagli Stati Uniti, che hanno nell’area il loro “Reagan Test Site”, un’area per esperimenti missilistici. Il bando è bloccato: HMN ha presentato un’offerta del 20% inferiore rispetto a quelle delle rivali, Alcatel del gruppo finlandese Nokia e la giapponese Nec. Nei giorni successivi, sempre Reuters ha raccontato che l’isola di Nauru sta trattando la costruzione di un cavo sottomarino per collegarsi alla rete australiana Coral Sea Cable, chiedendo sostegno finanziario alla Asian Development Bank.
Sia LightReading sia Reuters sottolineano gli sforzi coordinati da Stati Uniti, Giappone e Australia per affrontare l’ascesa cinese. Basti pensare che i tre assieme hanno finanziato un cavo sottomarino in fibra ottica per Palau, un’altra nazione del Pacifico. Senza dimenticare il formato Quad, che include anche l’India. Molto si deve all’Australia, primo Paese a bandire Huawei dal 5G (prima di Stati Uniti e Regno Unito), che ha recentemente rafforzato la sua presenza nel Pacifico con la creazione di una struttura di finanziamento di infrastrutture da 2 miliardi di dollari australiani (1,5 miliardi di dollari).
L’anno scorso, ricorda LightReading, Pechino aveva subito un duro colpo sul cavo Humboldt, che collegherà il Sud America continentale all’Asia. Il governo del Cile aveva detto no al piano cinese che prevedeva uno sbocca a Shanghai, preferendo la proposta giapponese, più conveniente e con più rotte. Per il progetto da 600 milioni di dollari, sostenuto dai governi di Cile e Brasile, non è ancora tempo del bando di gara. Intanto, però, sono state individuate due società di consulenza per trovare partner per il progetto: entrambe statunitensi.
Tutto ciò si ricollega alle difficoltà tra Stati Uniti e Cina nel Pacifico, di cui su Formiche.net avevamo scritto nelle scorse settimane. Basti pensare che in soli sei mesi sono stati stoppati tre progetti di cavi sottomarini tra Stati Uniti e Cina, a dimostrazione del fatto che ormai Washington non considera più Hong Kong un porto affidabile.
Stati Uniti e Cina si muovono in maniera diversa sul dossier, come spiegato in un report dello European Council on Foreign Relations, “Network effects: Europe’s digital sovereignty in the Mediterranean”: i primi lavorano a livello globale per creare le migliori condizioni affinché le aziende americane (come Google e Facebook) possano operare nel settore; la seconda si impegna con le proprie aziende (come il produttore di cavi in fibra ottica Hengtong Group) per promuovere i propri interessi.
Due approcci diversi ma con un aspetto in comune: sia Stati Uniti sia Cina sono più avanti dell’Unione europea in termini di influenza sulle infrastrutture digitali e sugli Stati che ne dipendono, scrivono gli esperti Ecfr. I 27 hanno l’ambizione e il potenziale per raggiungere la sovranità digitale ma mancano di una strategia globale per il settore, dove i singoli governi sono ancora gli attori chiave, spiegano.
(Foto: Official U.S. Navy Page, Flickr)