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Usa e Ue ripartono dall’aviazione. Finisce la guerra Airbus-Boeing

A conferma dell’importanza strategica dell’industria aerospaziale, il primo annuncio uscito dall’incontro Biden-von der Leyen riguarda gli aiuti di Stato per Boeing e Airbus. Stati Uniti ed Europa si sono dati cinque anni per raggiungere un accordo operativo sulla base di pochi e chiari principi. Restano congelati i dazi punitivi autorizzati dal Wto, che colpivano più l’Europa che gli Usa. Il punto di Gregory Alegi

La guerra dei 17 anni sta per finire: oggi Stati Uniti ed Europa hanno sepolto l’ascia di guerra sull’infinita questione degli aiuti di Stato per lo sviluppo degli aerei Airbus e Boeing, superando i dazi punitivi che con la benedizione del Wto si sono reciprocamente imposti negli ultimi due anni. È quanto Joe Biden e Ursula von der Leyen hanno annunciato in apertura del loro incontro a Bruxelles, dopo che le cancellerie avevano fatto trapelare anticipazioni sulla stampa. Più che di un armistizio definitivo si tratta di una lunghissima tregua: l’annuncio prevede infatti la sospensione per cinque anni dei dazi autorizzati dal Wto (7,5 miliardi di dollari nei confronti dell’Ue nel 2018 e 4 verso gli Stati Uniti l’anno successivo) e la creazione di un gruppo di lavoro intergovernativo per negoziare una volta per tutti i limiti degli aiuti ammissibili.

Se lo scontro Boeing-Airbus è nato ben 17 anni fa, a rendere urgente la soluzione politica è senz’altro la crisi del trasporto aereo causata dal Covid-19 e riverberatasi prima sulle compagnie aeree e quindi sui grandi costruttori come Airbus e Boeing. La situazione finanziaria di quest’ultima è resa doppiamente difficile dalla sovrapposizione tra la pandemia e il blocco delle consegne del 737 Max, il tutto in un momento in cui Boeing è chiamata a decidere se lanciare un nuovo aereo di media capacità con il quale presidiare un segmento centrale del mercato. Senza dimenticare che sullo sfondo si agitano le ambizioni aeronautiche cinesi, che minacciano tanto l’Europa quanto gli Stati Uniti. In altre parole: quando le forze disponibili sono troppo esigue per combattere su più fronti, è meglio raggiungere al più presto un armistizio dignitoso.

LA LUNGA MARCIA

Quel che è fuor di dubbio è il significato politico della volontà di raggiungere una formula per superare lo scontro. La contesa, iniziata in termini puramente industriali, aveva assunto negli anni il valore simbolico di contrapposizione tra i due storici alleati. Proprio per questo, sotto la presidenza di Donald Trump la vertenza aeronautica si era fusa con la generale avversione del presidente per l’Unione, con annessi dazi punitivi su acciaio e alluminio prodotti in Europa. E proprio per questo con la vittoria di Biden erano accelerate le manovre di riavvicinamento che sotto Trump erano andate al rallentatore. A febbraio si era saputo che già nella prima telefonata a Biden, insediatosi da appena otto giorni, Emmanuel Macron aveva fatto presente la necessità di superare lo stallo.

A marzo Biden e Von der Leyen avevano deciso di rinviare l’applicazione dei dazi per quattro mesi, sottintendendo che quello fosse il tempo necessario per raggiungere un accordo definitivo. E pochi giorni fa, la nuova carta Atlantica firmata con Boris Johnson faceva esplicito cenno al desiderio di risolvere l’annosa questione. Il viaggio di Biden è stata la cornice per due giorni di intenso lavoro, anche notturno, per raggiungere l’agognato accordo. Secondo Financial Times si è continuato a trattare fino all’ultimo, tanto che la bozza di accordo sarebbe stata inviata ai governi dei Paesi Airbus (Francia, Germania e Spagna) solo nella notte tra lunedì e martedì, quando ormai i tempi per ulteriori modifiche erano scaduti. Ma, appunto, il risultato che conta è quello politico: dimostrare la volontà di superare le differenze per arrivare davanti a Vladimir Putin con un simbolo di unità.

COSA DICE L’ACCORDO

Secondo il comunicato diffuso da Bruxelles, l’Understanding on a cooperative framework for Large Civil Aircraft (Accordo per una cornice di cooperazione sui grandi aerei civili) prevede la creazione di un apposito Gruppo di lavoro con a capo i ministri del commercio delle due parti. I capisaldi dovrebbero essere l’erogazione di finanziamenti ai produttori “a condizioni di mercato”, l’assegnazione di fondi di ricerca e sviluppo “attraverso una procedura aperta e trasparente”, il rendere “ampiamente disponibili i risultati della R&S interamente finanziata con risorse dello Stato”, il non concedere ai propri costruttori finanziamenti R&S o forme specifiche di sostegno che danneggino la controparte, il collaborare contro le pratiche scorrette di terzi (e qui il riferimento potrebbe essere alla Cina, le cui ambizioni sono ben note). Se questi principi saranno tradotti in pratica in modo coerente, nel 2026, a 22 anni dal suo inizio, la disputa commerciale più lunga del mondo potrebbe finalmente dichiararsi conclusa.

PERCHÉ CINQUE ANNI?

La sospensione dei dazi punitivi permette a entrambe le parti di rivendicare una vittoria ai punti, mantenendo la possibilità di ripristinarli senza eccessiva difficoltà in caso di un nuovo raffreddamento dei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Come questi principi, in gran parte condivisibili, saranno tradotti in un quadro normativo di pratica applicazione resta da vedere. I cinque anni di tempo che le parti si sono date sembra indicare che sui dettagli vi sia ancora molto da decidere. Di certo il termine scavalca le presidenziali statunitensi del 2024, eliminando dalla competizione un elemento potenzialmente assai divisivo. Senza la pressione elettorale, l’amministrazione Biden, il cui margine parlamentare è risicatissimo, potrà negoziare in un ambito tecnico, lontano dallo sguardo di un corpo elettorale sempre più nervoso e polarizzato.

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