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La comunione è un’arma politica? Cosa spacca i vescovi Usa su Biden

Il confronto ecclesiale tra vescovi, vescovi ausiliari, arcivescovi e cardinali, ha scelto di avere al suo cuore la preminenza della questione dell’aborto, in particolar modo della “coerenza eucaristica” di quei politici, come Biden, che pur non scegliendo l’aborto ritengono giusto consentire la scelta ai cittadini. Ecco chi sono e cosa vogliono

C’è molta attesa per l’incontro on line dei vescovi statunitensi che comincia oggi e si protrarrà fino al 18 giugno. Anche gli Stati Uniti sperano di ripartire dopo la pandemia. E da che cosa riparte il confronto ecclesiale? Dai 600.272 morti per Covid? Dai 33.485.079 contagiati? O dalle emergenze socio-sanitarie che questo ciclone ha creato? Riparte da Black Lives Matter? O dagli strascichi dei fatti inquietanti di Capitol Hill?

Il confronto ecclesiale tra vescovi, vescovi ausiliari, arcivescovi e cardinali, stando a quanto si legge da settimane sui grandi giornali e siti americani, ha scelto di avere al suo cuore la preminenza della questione dell’aborto rispetto a tutte le altre e in particolar modo della “coerenza eucaristica” di quei politici che pur non scegliendo l’aborto ritengono giusto consentire la scelta ai cittadini. È il caso di Joe Biden, secondo cattolico nella storia degli Stati Uniti ad andare ad abitare alla Casa Bianca da presidente. Non che questo debba garantirgli un occhio di riguardo da parte dei vescovi americani, ma la preminenza di una questione morale sulle altre costituisce in sé un problema. Lo costituisce oggi come lo costituì anni fa, quando l’idea di sconsigliare al candidato presidenziale democratico, John Kerry, di chiedere la comunione si affacciò tra i prelati statunitensi, per poi rientrare. Il fatto poi che tra i vescovi a favore della “linea dura” sull’aborto ci siano favorevoli alla pena di morte, pone un altro problema, che può far arrivare nella discussione anche il possibile assenso alla libera vendita di armi non solo difensive.

Tutte queste sono derivazioni che poco hanno a che fare con l’aborto, questione sulla quale i fautori della linea dura con Biden ed i fautori di quella morbida non dissentono. La vera questione è dove trovi fondamento la preminenza di una questione su tutte le altre e soprattutto se la discussione sul voto politico attenga all’aborto in sé o alla libertà di coscienza del legislatore. Biden, ad esempio, si è sempre professato personalmente contrario all’aborto. Ma stabilire una preminenza amplifica la sua scelta e riduce il valore di altri no sempre indicati dalla dottrina cattolica: all’eutanasia, al razzismo, alla negazione della libertà religiosa, alla discriminazione delle donne, all’aggressione, alla ingiustizia sociale, e a molto altro. Il cardinale Joseph Ratzinger, quando era Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, disse che un cattolico che intenda votare un politico schieratosi a favore della legge sull’aborto se lo facesse per altri motivi politici avrebbe diritto di farlo. Se ne può dedurre che oggi un buon cattolico può, se ritiene, dare il suo voto a Biden. Inoltre in un parere chiesto e ottenuto proprio dai vescovi americani sulla “coerenza eucaristica” lo stesso Ratzinger sottolineò che i principi morali cattolici sono il no all’aborto, il no all’eutanasia, la difesa della libertà religiosa, la difesa della famiglia, la protezione dei minori da forme moderne di schiavitù, la libertà religiosa, lo sviluppo di un’economia al servizio della dignità di ogni individuo, il rifiuto della violenza e la promozione della pace. Ecco perché i vescovi contrari alla linea dura sostengono che l’idea di una preminenza dell’aborto sembra questione politica più che dottrinale.

Così, guardando tra gli schieramenti, emerge un nome. È quello dell’ex nunzio negli Stati Uniti, monsignor Viganò. Di lui si è parlato molto da quando, dopo che Francesco aveva rimosso il cardinale McCarrick dal sacro collegio dove sedeva da molti anni, lo accusò di averlo coperto nonostante vi fossero restrizioni segrete disposte a suo carico dal Vaticano. Di queste restrizioni segrete – tipo non viaggiare, non celebrare in pubblico, non partecipare a pubblici eventi – Viganò con ogni evidenza era a conoscenza, ma aveva lui stesso partecipato, attestandogli stima, a un pubblico evento insieme al “cardinale vigilato”. Nonostante questo e altro Viganò chiese le dimissioni di Francesco, come è noto, ma come è meno noto ottenne sostegno da molti vescovi.

Subito dopo l’esplosione del “caso Viganò” l’arcivescovo di San Francisco, Salvatore J. Cordileone, scrisse una lettera di apprezzamento per il “grande accusatore”. Cordileone oggi è il portabandiera del fronte della fermezza contro Biden. Altri estimatori dell’ex nunzio che ha pregato per Trump sono l’arcivescovo di Denver, Samuel Aquila, l’arcivescovo di Kansas City, Joseph Naumann, il vescovo di Phoenix, Thomas Olmsted, tutti convinti, almeno al tempo, dell’integrità del “grande accusatore”. Un’emittente che apprezza molto monsignor Viganò e la sua idea di cristianesimo è la EWTN. Nel 2020 questa emittente televisiva ha ospitato il presidente Trump e premiato il suo ministro della giustizia, Barr, cioè colui che ha reintrodotto la pena di morte federale, osteggiata dai vescovi e dalla dottrina della Chiesa. Nel 2020 gli è stato conferito il premio Christifideles Laici.

Dunque quale visione unisce questo fronte? Perché il riferimento a monsignor Viganò appare così importante? Perché lui è stato tra i più espliciti sostenitori della tesi che esistano figli della luce e figli delle tenebre. Bene e male non convivono in lotta dentro ciascuno di noi, ma oppongono i primi ai secondi? Forse è così che la comunione può diventare “un’arma” contro i secondi, o un premio per i primi. È proprio il contrario di quello che dice Francesco: “Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali”.

È per questo che la comunione per Francesco non può essere un premio per i giusti, ma il cibo dei peccatori. La sua Chiesa non chiude in un perimetro i giusti, ma cammina con noi lungo le strade del mondo.


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