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Eucaristia, l’arma politica dei vescovi Usa polarizza la Chiesa

I vescovi americani avvieranno una commissione di studio sulla “coerenza eucaristica” per i politici cattolici, quindi sulla “dignità” per accedere alla comunione in riferimento a tutti quei credenti che svolgono cariche pubbliche ma sostengono legislazioni favorevoli ad aborto, eutanasia, unioni tra persone dello stesso sesso. Posizione lontana da quella del papa, che sceglie di pensare a che tipo di Chiesa serva

168 vescovi statunitensi hanno votato a favore della proposta di stilare subito un documento sul significato dell’eucaristia nella vita della Chiesa e sulla “coerenza eucaristica” per i politici cattolici, quindi sulla “dignità” richiesta per accedere alla comunione in riferimento a tutti quei credenti, come il presidente Joe Biden, che svolgono cariche pubbliche ma sostengono legislazioni favorevoli ad aborto, eutanasia, unioni tra persone dello stesso sesso. L’assemblea si è svolta on line. I contrari sono stati 55, gli astenuti 6.

Per capire il senso di un’azione più dei numeri contano le reazioni. E la prima reazione è stata la pubblicazione di un documento di 60 deputati cattolici che sfidano la maggioranza dei vescovi sulla loro teologia e idea di Chiesa tutta arroccata sui valori che ritiene non negoziabili. Come negare che colpisce il passo della lettera nella quale si afferma cha solo tre dei deputati cattolici sono definiti dai pro-life adeguatamente a favore della vita. Il muro così diventa sempre più invalicabile.

È la logica conseguenza dell’azione dei vescovi, cioè di un’azione tesa a dividere, divaricare. L’idea della maggioranza dei vescovi è sempre quella: c’è una guerra tra culture, tra cristianesimo e secolarizzazione, e se è così alla guerra servono guerrieri. È la tesi formulata da anni, si chiama “culture war” e Francesco l’ha sfidata dall’inizio del suo pontificato con la sua visione di una comunione unguento per le ferite e non premio per giusti e di Chiesa in uscita, non barricata nel fortino a difesa della sua intransigenza. È anche alla luce di questo, di questa visione di Chiesa, che la scelta “guerriera” è stata sconsigliata dal Vaticano per ben tre volte, l’ultima all’inizio dell’assemblea dei vescovi, quando il nunzio apostolico negli Stati Uniti ha ricordato la priorità del dialogo e dell’unità. In precedenza il Vaticano aveva fatto di tutto per convincere che non si deve trasformare la comunione in un’arma politica. Si è scelto di seguire la strada opposta e il risultato ovviamente è la polarizzazione.

Non è valsa a molto infatti la mossa del presidente del comitato incaricato di redigere il documento in questione, monsignor Kevin Rhoades di Fort Wayne-South Bend, che ha assicurato che il documento non menzionerà Biden o altre persone per nome, si limiterà a fornire linee guida piuttosto che imporre una politica nazionale obbligatoria. Non è poco, ma nelle ore successive allo strappo i toni non potevano che essere da guerrieri, come per altro la scelta della maggioranza indica.

Resta da capire se la decisione dei vescovi sia più contro Biden o più pro-Trump. Nel quadriennio di Trump le scelte indifendibili dal punto di vista cattolico non sono state poche, ma non sono mai state oggetto di documenti della conferenza episcopale, a partire da quando il cattolico Barr reintrodusse l’esecuzione federale della pena di morte dopo 17 anni di interruzione. Ovviamente c’è stato molto altro, compresa la separazione dei bambini dai genitori migranti, ma già nel giorno dell’insediamento di Biden il messaggio del presidente dei vescovi cattolici si soffermò sull’aborto, non certo sui timori per i recenti fatti di Capitol Hill. Da decenni la tendenza ad allineare la Chiesa cattolica con il Partito Repubblicano nel nome di una guerra culturale focalizzata sui temi di bioetica e del catto-capitalismo creato dai teocon è facilitata o prodotta, a seconda dei punti di vista, da un opposto radicalismo liberal concentrato anch’esso prioritariamente sulla bioetica. Non a caso l’arcivescovo di Kansas City, Joseph Naumann, ha sostenuto che non sono i vescovi che ci hanno portato a questo punto, ma è il presidente visto che parla di aborto come un diritto.

Una posizione che certamente non si riduce a partigianeria o reazione è quella di Francesco, che si sottrae al meccanismo indicato da Naumann (colpa mia, colpa tua) e sceglie di pensare a che tipo di Chiesa serva: “Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali”.

È questa la visione di Chiesa che la maggioranza dei vescovi non ha saputo scegliere, rimanendo in un tracciato di alleanza politica e di conflittualità culturale che divaricando polarizza: difficile pensare che questo non aiuterà i più radical anche nel campo opposto.

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