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Ursula a Roma, è l’ora dell’Italia. Ma anche l’Ue deve muoversi. Scrive Polillo

La tappa romana di Ursula von der Leyen sancisce l’avvio della fase due del Recovery Fund. Ma non è solo la burocrazia italiana che deve muoversi, anche Bruxelles dovrà fare la sua parte, altrimenti si dovrà ricorrere alla pratica degli acconti, con gli eventuali saldi già previsti per il mese di settembre. E la Ue potrebbe fare una figuraccia. Il commento di Gianfranco Polillo

In quel lungo viaggio, che Ursula Von Der Leyen sta compiendo, domani sarà la volta di Roma. Nella Città Eterna la responsabile della Commissione europea porterà il suggello al Pnrr elaborato da Daniele Franco, per poter accedere ai finanziamenti della Next Generation Eu. Quel tomo di oltre 260 pagine in cui sono riassunti i programmi di investimento e le riforme che il governo intende realizzare, nei tempi e con le procedure descritte.

Al momento la valutazione è positiva: tutte A, a quanto si apprende. Il massimo dei voti ed una sola B, per i costi dei vari progetti. Ma il difficile verrà soprattutto dopo: durante il monitoraggio costate che la stessa Commissione dovrà compiere. Pronta a dirottare altrove le eventuali risorse che i singoli Paesi non saranno in grato di utilizzare.

Stando ai precedenti storici, relativi alle gestione dei fondi comunitari, non sarà così semplice. In passato la spesa aveva superato con grande difficoltà il tetto del 50 per cento. Dando luogo a revoche che avevano penalizzato il Bel Paese e favorito i concorrenti. All’inizio Paesi come la Spagna o il Portogallo, poi soprattutto le new entries, come la Polonia o l’Ungheria. Grati e contenti nel poter sostituirsi ai Paesi più blasonati, come l’Italia, ma incapaci, come i vecchi nobili di una volta, di reggere al ritmo imposto dalla crescente modernità.

Ma non era stato solo questo il limite di quella gestione. Il più delle volte, specie in un Mezzogiorno che aveva bisogno di tutto, ma che aveva a disposizione solo qualche straccio di progetto, piuttosto che perdere quei fondi, almeno una parte veniva erogata “a prescindere”. Buttati nella spesa corrente. Utilizzati per riparare qualche strada. Le mille rotonde sorte come funghi in tanti luoghi di quei territori. Quando non davano luogo a qualcosa di insondabile. Spesso appannaggio di mafie ed organizzazioni criminali.

Rischi che non sono diminuiti. Anche se la consapevolezza dei limiti passati è fortemente cresciuta. Ma nei rami alti dell’Amministrazione. In periferia, specialmente nel Mezzogiorno, lo ricordava il ministro dell’economia, Daniele Franco, nel suo intervento al forum organizzato dalla Fondazione Nitti e dall’associazione Merita, lo sforzo da compiere, per ottenere un’efficienza minima, è ancora imponente. Sarà necessario per non disperdere quel 40 per cento delle risorse complessive, che il Pnrr assegna a quei territori. Ma soprattutto per ridurre, nel tempo, quella divergenza che, da troppo tempo, spacca in due il Paese. In una misura addirittura più accentuata rispetto alla frattura che, in Europa, divide i Paesi del nord dal Club Med.

Terminata comunque la lunga fase istruttoria, che ha portato all’inizio alla stesura del Piano (ben diverso dalla bozza lasciata in eredità dal precedente governo), quindi alla sua definitiva approvazione, inizia ora il tempo dell’operatività. Si aspetta, con una certa ansia, di ricevere entro metà luglio i primi 25 miliardi. Un atto che potrebbe incidere favorevolmente sulle aspettative degli operatori economici. E quindi contribuire a rasserenare il clima anche sul fronte del blocco dei licenziamenti. Piattaforma su cui almeno una parte della sinistra italiana sembrerebbe intenzionata a dare battaglia.

Già prevista la loro destinazione: circa 1,7 miliardi per la Transizione 4.0, altri 1,2 miliardi per il Fondo Simest destinato alla patrimonializzazione delle imprese. Quindi 1,1 miliardi per i progetti di efficientamento energetico e tutela del territorio, da far gestire ai comuni. Ai programmi a favore dell’internazionalizzazione delle imprese sono destinati altri 1,2 miliardi, mentre per la cultura e il turismo sono previste spese per 436 milioni. Il resto dovrà servire per sostenere i programmi di semplificazione burocratica e gli investimenti nelle infrastrutture. Con particolare attenzione per le tratte ferroviarie dei territori del Mezzogiorno.

Che manca ancora? La definitiva approvazione da parte di Ecofin. Un mese di tempo per una valutazione complessiva. Che dovrebbe giungere per il prossimo 13 luglio. Quindi l’effettiva disponibilità dei fondi, da raccogliere sul mercato internazionale. Al momento la prima asta ha consentito una provvista di 20 miliardi. Insufficienti per soddisfare tutte le richieste. Ed allora non è solo la burocrazia italiana che deve muoversi. Anche Bruxelles dovrà fare la sua parte, altrimenti si dovrà ricorrere alla pratica degli acconti. Con gli eventuali saldi già previsti per il mese di settembre. E la brutta figura di chi predica bene, ma razzola male.

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