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L’inflazione, la connection Fed-Bce e l’euro digitale. Parla Angeloni

Intervista all’economista alla Harvard Kennedy School ed ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce negli anni di Mario Draghi a Francoforte: dalle decisioni della Fed su una possibile stretta monetaria dipenderanno le mosse dell’Eurotower, lo spostamento del tetto dell’inflazione al 2% è una scelta quasi ovvia. L’euro digitale? Potrebbe tornare utile ma non è urgente

Le politiche ultra-accomodanti delle grandi banche centrali, Federal Reserve e Bce in testa potrebbero avere i mesi contati, nonostante le rassicurazioni sul proseguo degli stimoli arrivati dal governatore della Fed, Jerome Powell, ascoltato dal Congresso americano nella notte italiana. E nonostante la presidente della Bce, Christine Lagarde, si sia sforzata di ribadire il sostegno della banca centrale all’economia ancora alle prese con la pandemia, spegnendo le insinuazioni di chi vede nella revisione della guidance monetaria sul tavolo del board la prossima settimana, il preludio di un intervento sul costo del denaro. Ma c’è chi vede un cambio di passo.

Formiche.net ha chiesto una lettura della situazione a Ignazio Angeloni, economista alla Harvard Kennedy School, ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce proprio negli anni di Mario Draghi al vertice dell’Eurotower e con un passato in Bankitalia. Con lui abbiamo discusso anche di l’euro digitale.

La prossima settimana la Bce riunirà il board per approvare le nuove linee strategiche. In primis, il nuovo target d’inflazione sarà il 2%, non più poco al di sotto del 2%. Ma c’è vi vede in questo passo la fine della politica ultra-accomodante e il preludio di una possibile stretta monetaria. Lei che lettura dà?

Lo spostamento dell’obiettivo di inflazione al 2% è una misura opportuna, quasi ovvia. La definizione precedente aveva creato confusione e facilitato decisioni errate in passato. Ma anche l’attuale definizione presenta problemi.

Quali?

Anzitutto, l’ampiezza della fascia di oscillazione attorno al 2% non è stata specificata. Questo non facilita decisioni future, comprese quelle da prendere nelle prossime settimane e mesi. Inoltre, l’inclusione nell’indice dell’inflazione del costo degli affitti residenziali è rimandata a un futuro lontano. Che succederà nel frattempo? Sembra poco plausibile che questa componente, di cui è già stata decisa l’inclusione, venga ignorata totalmente. Dalle informazioni disponibili, quei costi potrebbero determinare un innalzamento del tasso medio di inflazione attorno allo 0,4%. Lo spostamento dell’obiettivo al 2% non compensa interamente questo aumento, dunque un effetto restrittivo dall’insieme delle due misure potrebbe esserci. Questo sarebbe inopportuno, perché le nuove line strategiche non dovrebbero avere conseguenze per l’intonazione generale della politica monetaria.

La Federal Reserve, nelle scorse settimane, ha dato i primi, inequivocabili segnali circa un possibile inizio del tapering, complice un’inflazione americana piuttosto tonica. Quale è la differenza, se ve ne saranno, tra il futuro approccio monetario della Fed e della Bce?

La presidente Lagarde ha detto giustamente che Stati Uniti e area euro hanno dinamiche economiche diverse, quindi differenze nell’intonazione e nell’orientamento delle politiche monetarie si giustificano. A questo si aggiunge il fatto che le linee strategiche annunciate dalla Bce differiscono da quelle annunciate dalla Fed il 27 agosto dell’anno scorso, che prevedono un target di inflazione calcolato in media su un certo numero di anni. Ma anche se strategie e politiche monetarie differiscono, ciò che avviene negli Stati Uniti non è indifferente per noi.

Dunque cioè che accade a Washington impatterà anche sulle decisioni della Bce?

I tassi di interesse sul dollaro si trasmettono alla struttura dei tassi in euro, oltre il brevissimo termine, per la catena di effetti che transitano attraverso i mercati finanziari. Quindi se la Fed stringe la politica monetaria, anche solamente in via precauzionale per assicurarsi contro rischi di inflazione per ora remoti, movimenti dei tassi a lungo termine si vedranno anche da noi. E in parte si sono già visti.

Angeloni, in questi giorni si decide il futuro dell’euro digitale. La Bce ha sancito l’avvio di una fase esplorativa. Crede che l’Ue abbia davvero bisogno di una moneta virtuale con corso legale?

Nell’area dell’euro la creazione di una nuova moneta digitale non è una necessità impellente, questo credo sia evidente a tutti. Il sistema dei pagamenti funziona bene, sia al dettaglio sia all’ingrosso, sia in presenza sia online, sia a livello sia domestico sia – dopo la creazione della Sepa (l’area unica dei pagamenti in euro in cui cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni degli Stati membri effettuano operazioni di pagamento in euro verso un altro conto, ndr)–  fra paesi diversi che usano l’euro. Il sistema attuale offre all’utente un ampio ventaglio di strumenti sicuri, efficienti e a basso costo: carte di credito e di debito, smartphone app di vario tipo, bonifici online, oltre ai vecchi assegni (in declino in quanto poco pratici) e ovviamente al contante. E poi il settore privato (banche e non) negli ultimi anni ha saputo conciliare innovazione e sicurezza, sotto la vigilanza delle banche centrali.

Allora non l’Europa non ha bisogno di un euro digitale…

Ci stavo arrivando. Detto questo, è opportuno, anche se non urgente, che le banche centrali dell’area euro affinino la loro esperienza nel settore delle monete digitali per prepararsi all’eventualità non prossima che il contante sparisca totalmente o anche magari per offrire all’utente un’ulteriore alternativa, anche se personalmente non credo che le banche centrali riusciranno a competere in efficienza e sicurezza con gli strumenti di pagamento già esistenti che ho ricordato. Se la Bce in futuro emetterà un euro digitale dovrà stare attenta che questo non disintermedi le banche e non crei problemi per la stabilità finanziaria, rischi di cui peraltro la Bce è ben consapevole. Va detto anche, infine, che esistono nel sistema dei pagamenti globale alcuni comparti poco efficienti, per esempio quello che gestisce le rimesse dei lavoratori all’estero. Qui le banche centrali possono svolgere un’azione utile, soprattutto stimolando la concorrenza ma forse anche creando canali alternativi.

E se le dico Bitcoin, lei che risponde?

Che non includo in questo discorso le cosiddette criptomonete, tipo Bitcoin, che non sono monete in realtà ma strumenti speculativi ad alto rischio che dovrebbero essere maggiormente regolamentati.

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