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Artico bollente, la partnership complicata tra Cina e Russia

Pechino cerca Mosca anche per approfondire la propria presenza nell’Artico, Mosca trova una sponda in Pechino per le rivendicazioni contro l’Occidente. Ma il rapporto sino-russo è visto con scetticismo e sfiducia

Uno degli elementi interessanti che esce dalla lunga dichiarazione congiunta rilasciata dopo un vertice virtuale tra il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping, e il presidente russo, Vladimir Putin, oltre all’impegno per approfondire la cooperazione su cyberspazio e sullo sviluppo di piani infrastrutturali, riguarda la volontà di collaborare sull’Artico.

La Russia ha approvato un’iniziativa guidata da Pechino sulla sicurezza dei dati, nell’ultimo segno di cooperazione tra i due vicini in aree di interesse emergente e in mezzo alla crescente animosità con Washington. Pechino e Mosca hanno anche riaffermato l’importanza della partnership strategica rinnovando il loro trattato di amicizia ventennale, che orienterà lo sguardo anche verso l’Artico.

Come racconta la vicenda del blocco del canale di Suez a causa dell’insabbiamento del gigantesco cargo “Ever Given”, le rotte artiche stanno diventando una necessità da esplorare per i viaggi Est-Ovest. Rese più percorribili dallo scioglimento dei ghiacci prodotto dal Global Warming, le linee di navigazioni che tagliano il Nord del mondo sono passate dall’essere un’attenzione di carattere strategico a un dossier già operativo.

Nella corsa per controllarle (sul piano economico-commerciale, ma anche militare e di sfruttamento delle risorse finora intatte) c’è una serie di Paesi che cercano di portarsi in vantaggio. La competizione tra le nazioni rivierasche vede particolarmente interessati gli Stati Uniti, con la Russia che è l’altra grande potenza in campo mentre la Cina è tecnicamente distante dal punto di vista geografico e dunque geopolitico. È qui che la dichiarazione diventa più interessante.

La partnership russo-cinese sembra una bromance destinata a un brutto finale. A Mosca, soprattutto sul lato del ministero degli Esteri, c’è molto scetticismo nei confronti della Cina: frutto della consapevolezza che la Russia non è più una potenza economica (e lo sarà sempre meno in un mondo decarbonizzato), si teme che il Dragone possa fagocitare l’Orso. Si è però creato un allineamento di necessità nato dopo la crisi economica del 2008 e ora diventato quasi di carattere identitario; i due grandi autoritarismi schierati insieme contro il blocco delle Democrazie (pro)mosso da Washington.

E però questo allineamento è competitivo, le iniziative congiunte sono intrise di retorica e meno di pratica, là dove russi e cinesi si trovano a condividere spazi per approfondire la propria proiezione internazionale e la propria influenza spesso le sovrapposizioni non sono coordinate in modo armonico. L’Africa è una di queste aree, dove la Cina fa prevalere la superiore capacità economica e la Russia gioca su quella politica; l’Artico un’altra, dove Mosca rivendica una dimensione geografica e geomorfologia di vantaggio.

Dal 20 maggio 2021 la Russia ha assunto il ruolo di presidenza pro-tempore del Consiglio Artico (organizzazione regionale composta da Canada, Danimarca, Usa, Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e appunto Russia) di cui la Cina è osservatore permanente dal 2013. L’idea che la Cina possa partecipare alla governance regionale è limitata, per la visione del Cremlino, alla porzione russa dell’Artico, non a quella internazionale – dove invece Mosca punta a coinvolgersi con gli occidentali.

Ossia, è una visione a uso russo. All’opposto Pechino intende sfruttare la fase di presidenza per approfondire il ruolo anche nell’organizzazione, oltre che quello pratico sul terreno. A giugno 2020 la Cina ha ricevuto un prima doccia fredda, quando il delegato del Cremlino per l’Artico, Nicholay Korchunov, disse che era “impossibile non essere d’accordo” con l’allora segretario di Stato, Mike Pompeo, che aveva definito la Repubblica popolare un Paese “non-Artic” – affermazione in netto contrasto con la visione di Pechino che invece si definisce “near-Artic” (difficilmente contestabile che la Cina non sia vicino all’Artico).

Erano tempi diversi, in parte: l’amministrazione Trump cercava un riaggancio con la Russia frutto sia della fascinazione che l’allora presidente aveva per l’uomo forte che Putin incarnava (almeno nella narrazione), sia per una visione molto ampia e strategica (ancora in dibattimento tra i pensatori americani) sulla necessità di evitare uno scarrellamento completo di Mosca verso Pechino e invece agganciarla in un contatto franco con le realtà occidentali anche come forma di contenimento cinese.

Le cose sono in parte cambiate, il democratico Joe Biden ha elevato la questione del rispetto dei diritti e dei valori democratici a vettore di politica internazionale, concetto che ha fatto presente allo stesso Putin durante il loro primo faccia a faccia. Questa distanza, nelle questioni artiche ma non solo, è vista come un fattore positivo dalla Cina. Sotto un certo punto di vista le dinamiche sull’Artico sono paradigmatiche. Negli ultimi anni il governo cinese ha spinto per moltiplicare gli organismi di contatto col Cremlino: sono nati il meccanismo interministeriale Cina-Russia per il Dialogo sugli affari artici (2015), il Forum accademico artico co-ospitato dall’Università di San Pietroburgo e Ocean University of China; dal 2015 è iniziata la cooperazione istituzionale per la Rotta del Mare del Nord, poi trasformata nel 2017 (su iniziativa cinese) in “Ice Silk Road” e successivamente nel 2018 in “Polar Silk Road”, spin-off del macro-progetto geopolitico noto come Nuova Via della Seta. Dal 2019, sempre su iniziativa cinese, è nato un Centro di ricerca sino-russo per l’Artico, con cui Pechino è andato a colmare un altro ritardo rispetto a strumenti di cooperazione tecnico-scientifica che Mosca ha già con altri Paesi, come gli Usa.

La posizione russa e cinese sull’Artico segna divergenze. Mosca, che inizialmente si era opposta all’ingresso della Cina nel Consiglio artico, pressa all’Onu per una normazione della sovranità dei vari Paesi nella regione in funzione del prolungamento delle piattaforme continentali — aspetto che limiterebbe il ruolo cinese. Nel lungo termine, qualsiasi miglioramento delle relazioni della Russia con i Paesi occidentali andrà a svantaggio della Cina. I cinesi sono ben consapevoli che la cooperazione con il loro Paese non era la prima scelta della Russia nell’Artico. Anzi.

La Cina è fortemente interessata a qualsiasi nuovo sviluppo nelle relazioni Russia-Usa tanto che il giorno prima dell’incontro tra il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il Segretario di Stato americano Antony Blinken a Reykjavík a margine della riunione del Consiglio Artico, Putin e Xi hanno avuto un incontro virtuale. Subito dopo il meeting con Blinken, che Lavrov ha definito “costruttivo”, il principale consigliere per la politica estera di Xi, Yang Jiechi, è volato a Mosca per un dialogo strategico, che presumibilmente includeva questioni artiche. È in questa cornice che i nuovi rapporti artici evolvono.

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