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Perché un attentato in Pakistan mette in allarme Pechino?

Almeno sei tecnici cinesi sono stati uccisi in quello che sembra un attentato in Pakistan, mentre lavoravano al progetto di una diga parte del China-Pakistan Economic Corridor, che dovrebbe permettere alla Via della Seta lo sbocco sull’Oceano Indiano. Le preoccupazioni di Pechino per la sicurezza regionale

Sei tra ingegneri e tecnici cinesi sono morti in Pakistan quando il bus in cui viaggiavano è stato colpito da un attacco terroristico oggi, mercoledì 14 luglio. Forse un dispositivo esplosivo improvvisato (Ied) piazzato lungo la strada oppure all’interno del pullman, forse un attentatore kamikaze che si è fatto esplodere. Il veicolo è precipitato in un burrone dopo l’esplosione, e ci sono anche dei dispersi (tra loro un alto ingegnere cinese). L’attentato, in cui in totale potrebbero aver perso la vita più di dieci persone, è avvenuto al nordest del Pakistan, nelle aree remote del paese che confinano con il Jammu e Kashmir. Una regione (a maggioranza musulmana) contesa dal 1947 a cui Nuova Delhi nell’ottobre del 2019 ha tolto l’autonomia assoggettandola alla struttura federale: una mossa esplosiva che si era portata dietro le ire di Pakistan e Cina.

L’autobus stava trasportando una trentina di ingegneri cinesi al sito della diga di Dasu nell’Alto Kohistan. Il progetto idroelettrico creerà una barriera sull’Indu e fa parte del China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), un piano di investimenti da 65 miliardi di dollari nell’ambito della Belt and Road Initiative, l’infrastruttura geopolitica che mira a collegare la Cina occidentale al porto marittimo di Gwadar. Il Pakistan è un passaggio cruciale dell’iniziativa cinese, in quanto garantisce lo sbocco portuale sull’Oceano Indiano. Il Partito/Stato ha creato a Islamabad una sorta di vassallaggio, il governo pakistano è molto collegato agli investimenti cinesi, e nelle intenzioni strategiche del segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping, c’è di sfruttare il momento prodotto dal ritiro occidentale dall’Afghanistan per Perché la Cina si interessa all’Afghanistan.

Una mossa non gratuita. Il problema connesso all’area è la condizione di sicurezza scarsa prodotta da gruppi armati che operano azioni di carattere terroristico. In Afghanistan i Talebani stanno dilagando, e contemporaneamente le fazioni qaediste e baghdadiste hanno ingaggiato una competizione nel mondo del terrore per spingere le proprie istanze e accaparrarsi proseliti. In Pakistan, oltre ai talebani TTP e al Qaeda, esistono gruppi terroristici separatisti che si muovono a cavallo del confine indiano e nel sud del paese, nell’area del Baluchistan (la grande regione sud-occidentale che confine lo sbocco marittimo di Gwadar). A questa moltiplicazioni di condizioni delicate si somma anche il rischio di aumento delle posizioni estremiste nello Xinjiang, dove il governo cinese ha avviato campagne di rieducazione contro gli uiguri e altre minoranze musulmane.

Il tutto rende complicato il processo di espansione cinese e porta Pechino a un necessario aumento del coinvolgimento nelle questioni di sicurezza regionale. Pechino ha chiesto “punizioni severe” per quanto è successo sul bus, segnando la propria preoccupazione per questo genere (devastante) di situazioni che rende complicato i lavori in un’area geopolitica cruciale per la propria proiezione globale – nel caso la Bri, ossia il braccio nevralgico che dovrebbe legarla, tramite l’Eurasia, all’Europa. Nei giorni scorsi il primo ministro Imran Khan ha annunciato di aver lanciato un’iniziativa per il dialogo con i separatisti meridionali, che si oppongono alla Via della Seta cinese. Nell’area, gli attacchi contro le forze di sicurezza nei primi sei mesi dell’anno sono quadruplicati (da venti a quaranta) nel 2021 rispetto al 2020.

L’iniziativa è spinta anche da Pechino, che ha direttamente avviato contatti con i Talebani in Afghanistan e sta spingendo le iniziative in Pakistan per creare un altro vettore di stabilizzazione, dopo aver fallito il dialogo diretto con gli insorti beluci. Khan ha recentemente dichiarato che gli insorti in Pakistan sono fomentati dall’India, un paese che ha forti rivalità storiche col Pakistan e che nella scorsa estate ha ravvivato le ostilità con la Cina (frutto anche delle dinamiche nell’Indo Pacifico che hanno portato Nuova Delhi a schierarsi verso Washington nel grande confronto tra potenze con Pechino). È un ulteriore moltiplicatore di instabilità per le iniziative cinesi, che si trovano ad affrontare crisi e insurrezioni anziché gestire la propagandata “armonia nella diversità” che gli investimenti cinesi dovrebbero rafforzare con l’aumento della prosperità.



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