Skip to main content

Da Trump a Biden, una voce sola su interesse nazionale. Scrive Arpino

In Italia si tende sempre a semplificare. Basta identificare i democratici americani con il nostro centrosinistra e i repubblicani con il nostro centrodestra, ed il problema è risolto. Niente di più sbagliato. Chi conosce almeno un po’ il nuovo mondo sa bene che quando si tratta di sicurezza, o di interesse nazionale, oltreoceano il sentiment delle due parti differisce di poco. L’analisi del generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa

Democratici o repubblicani? Dopo Donald Trump, antipatico e sempre accigliato, tutti sono andati in visibilio per il nuovo presidente. Alla Nato, nella Ue, all’Assemblea dell’Onu, nei nostri serali dibattiti-pollaio, nei compassati ma spocchiosi circoli culturali della chic, sono stati in molti a spellarsi le mani per il “ritorno dell’America” con il sorridente e democratico Joe Biden. Ora si continua ad applaudire, ma con sempre minor foga e senza spellarsi le mani. In Italia, se vogliamo parlare un po’ di noi, si tende a semplificare ogni dubbio senza andare troppo per il sottile. Basta identificare i democratici americani con il nostro centrosinistra e i repubblicani con il nostro centrodestra, ed il problema è risolto. Niente di più sbagliato. Chi conosce almeno un po’ il nuovo mondo sa bene che quando si tratta di sicurezza, o anche di mero interesse nazionale, oltre oceano il sentiment delle due parti differisce di poco.

Non è un mistero che il mentore di Joe Biden sia da sempre Barack Obama, superato in termini di applausi internazionali solo dal mitico John Fitzgerald Kennedy. Ebbene, per chiarirci assieme le idee, proponiamo un facile esercizio di rilettura, offrendo qui di seguito alcune frasi pronunciate dall’idolo dei democratici di tutto il mondo durante la campagna elettorale del 2007. Il suo manifesto su temi ancora a noi vicini (Afghanistan, istituzioni e impegno militare), non lascia adito a dubbi. Sul primo argomento, Obama se l’era cavata in breve: “Dobbiamo concentrare i nostri sforzi su Afghanistan e Pakistan, il fronte centrale della nostra guerra con al-Qaeda, in modo da confrontarsi con i terroristi laddove le loro radici sono più profonde; il successo in Afghanistan è ancora possibile, ma solo se ci muoviamo rapidamente, con giudizio e decisione; è necessario porre in essere una strategia integrata che rinforzi le nostre truppe e rimuova le limitazioni poste alle proprie forze da alcuni nostri alleati della Nato”. A chi si riferiva?

Per quanto riguarda la posizione nei confronti delle forze armate e del ruolo globale degli Stati Uniti, il suo pensiero di allora era ancora più esplicito. “Per rinnovare la leadership americana nel mondo, dobbiamo immediatamente metterci all’opera per rivitalizzare il nostro assetto militare; più di ogni altra cosa, per sostenere la pace è necessario disporre di forze armate robuste… oggi il Pentagono non è in grado di certificare alcuna nostra unità come pienamente rispondente ad affrontare nuove crisi che si aggiungono a quella irachena, mentre la quasi totalità della Guardia nazionale non sarebbe in grado di proiettarsi oltremare; dobbiamo allora ricostruire il nostro assetto militare e prepararlo alle missioni future, riguadagnando la capacità di sconfiggere rapidamente ogni minaccia al nostro Paese ed ai nostri interessi”. Ciò detto, il presidente in pectore si era dilungato sui provvedimenti, prevedendo un incremento di circa centomila unità tra Esercito e Marines, “reclutando al meglio ed investendo perché ciò sia possibile”.

Circa l’uso della forza, il programma di Obama recitava che egli non esiterà a rinnovare questa capacità, se necessario anche unilateralmente, per proteggere il popolo americano ed i suoi interessi vitali ovunque essi siano attaccati o anche solo minacciati. Per fare ciò “dobbiamo anche considerare l’uso della forza militare in circostanze diverse da quelle di autodifesa, per assicurare una stabilità globale, per aiutare gli amici, per partecipare ad operazioni di stabilizzazione e ricostruzione o per opporci a crimini contro l’umanità”.

Con questi pensieri, che assieme all’Obamacare erano così piaciuti agli americani tanto da portarlo alla vittoria, Barack Obama aveva tentato di declinare il futuro della politica americana. Una volta eletto ci ha anche provato, sebbene poi tra false partenze, continue incertezze in politica estera, minacce militari con linee rosse che si spostavano sempre più avanti, pivot asiatico boicottato dalle potenze alleate del Pacifico, tagli (altro che incrementi) su militare e spazio, nessuno dei propositi inizialmente dichiarati si è tradotto in realtà. Ciò anche per l’esigenza di un continuo ritorno sul Medio Oriente (di cui sperava si fossero occupati gli alleati europei), continue guerre mascherate dall’atteggiamento from behind (ovvero lanciare il sasso e nascondere la mano), il tentare di far passare sotto traccia l’hard power con un maldestro uso di un soft power inconcludente, per poi ottenere, come risultato finale, un deciso collasso della credibilità degli Stati Uniti nel mondo.

Donald Trump se n’era accorto subito e, pur sbagliando nei modi in cui si è presentato sul palcoscenico mondiale, in parte aveva cercato rimedio a questi fallimenti, riprendendo e in una certa misura realizzando alcuni giusti obiettivi che Barack Obama si era posto nella sua prima campagna. Anche Joe Biden, che aveva vissuto da vicino i fallimenti del suo presidente proprio nei programmi in cui davvero credeva, non ha rinnegato nulla di ciò che il suo predecessore aveva riavviato in termini di potenziamento della credibilità (industria degli armamenti, spazio, finanziamento ai privati, ecc.), pur prendendone decisamente le distanze in termini di atteggiamento e di rapporto con gli alleati.

In questa luce, l’aver sostituito “America first” con “America is back” non è affatto un segno di discontinuità: si tratta sempre di sicurezza e interesse nazionale. Anzi, riprendendo il pensiero di un Obama della prima ora, a livello internazionale con competitori e vecchi nemici Biden si è mostrato a muso duro ed è stato persino più esplicito di Trump, che agitava l’arma economica senza apparentemente insistere su quella militare. Del più recente Joe Biden, invece, abbiamo capito che, quando discute, tiene entrambe queste armi in bella vista. Ci sono nell’aria problemi di sicurezza o pregiudizi per l’interesse nazionale? Negli Stati Uniti democratici e repubblicani non esitano a parlare con una voce sola. Temo proprio che i nostri iridati eroi delle marce e delle piazze non tarderanno ad essere delusi anche da Joe Biden. Centrodestra e centrosinistra ne tengano conto.


×

Iscriviti alla newsletter