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Sulla riforma del catasto il Parlamento si riprende la sovranità

Il documento – votato pressoché all’unanimità – che rappresenta la base della legge delega sul fisco non fa alcun riferimento, come era stato previsto all’inizio della relazione, alla “riforma dei valori catastali non aggiornati” e alla revisione delle agevolazioni fiscali. L’intervento di Riccardo Pedrizzi, vicepresidente Federproprietà

Finalmente! Il Parlamento italiano, e in particolare le due Commissioni Finanze di Camera e Senato, si è riappropriato della nostra sovranità, quella fiscale.

Il documento, votato pressoché all’unanimità, che rappresenta la base della legge delega che dovrà presentare il governo e che è stato presentato al termine dell’indagine conoscitiva sul fisco, in effetti, non fa alcun riferimento, nemmeno un cenno, come era stato previsto all’inizio della relazione, alla “riforma dei valori catastali non aggiornati” e alla revisione delle agevolazioni fiscali, “così come aveva richiesto la Commissione Europea  con le Country Recommendations” recepite poi dal Recovery Plan.

I parlamentari delle due commissioni, dunque, hanno ritenuto non fosse praticabile attualmente una riforma che, di fatto, si sarebbe tramutata in una ennesima, nuova tassa patrimoniale.

La politica, quella seria, si riappropria così della propria autonomia e della propria capacità di giudizio non solo nei confronti dell’Europa, che continua ad insistere nel voler tassare anche la prima casa, ma anche nei confronti della cosiddetta tecnocrazia.

Si ricorderà, infatti, che anche Bankitalia, audita alla Camera dei Deputati nell’ambito della stessa indagine conoscitiva, sostenne che l’assenza di tasse sulla prima casa è una anomalia tutta italiana, avallando e sostenendo quello che chiede da tempo Bruxelles; così come si era messa sulla stessa lunghezza d’onda anche la Corte dei Conti, con il suo presidente, Guido Carlino, che sparò “alzo zero” contro il patrimonio immobiliare dell’85% dei cittadini italiani che possiede un’abitazione.

I parlamentari hanno così dimostrato di essere consapevoli che sugli immobili ci sono già una quantità di tasse e che il contribuente italiano è già gravato da una miriade di patrimoniali palesi e nascoste.

Nel vigente ordinamento infatti convivono imposte tipicamente patrimoniali e tributi cosiddetti pseudo patrimoniali. Nella prima categoria rientra l’Imu che colpisce il solo patrimonio immobiliare e al lordo delle passività gravanti sugli immobili. Un fabbricato – ad esempio – il cui valore è totalmente assorbito da un mutuo sconta l’imposta nella stessa misura di un immobile libero da passività. Cioè si paga una tassa su un debito.

Patrimoniale complementare all’Imu è l’Ivie: l’imposta sugli immobili detenuti all’estero.

Tra le patrimoniali nascoste c’è l’imposta sulle successioni e donazioni che assoggetta a tassazione gli “arricchimenti senza causa” in quanto conseguiti a titolo gratuito.

Poi ci sono le imposte sui trasferimenti: quelle ipotecarie e catastali, giustificate come tributi a fronte del servizio pubblico di iscrizione e trascrizione ma, essendo commisurate in percentuale al valore dell’immobile (senza tetto in valore assoluto), di fatto sono delle vere e proprie patrimoniali.

Dunque esistono numerose imposte (registro, ipotecarie e catastali, bollo, Imu) che colpiscono in vario modo la capacità contributiva riconducibile al patrimonio mobiliare o immobiliare. Per cui pensare di incrementare questa miriade di imposte con un fardello di ulteriore 2,8 miliardi di euro – tanto dovrebbe essere il gettito previsto derivante dall’imposta di successione proposta da Enrico Letta su un’imponibile da tassare di ulteriori 14 miliardi al 20% – non sta né in cielo né in terra.

Proprio per questo il capo del governo, Mario Draghi, ha dichiarato, stoppando il segretario del Pd, che “non è tempo di chiedere soldi agli italiani ma di darglieli”. Anche perché con questo nuovo balzello si ostacolano i passaggi generazionali nelle imprese e la norma che oggi consente l’esenzione per i trasferimenti di azienda, quote societarie, azioni, anche se realizzati con patto di famiglia, purché gli eredi assumano il controllo e si impegnino a mantenerlo per 5 anni. E questo sarebbe un ulteriore  attacco all’economia italiana. Ed, in genere, alla famiglia (Cfr. Il Fatto Quotidiano, articolo di Salvatore Morelli del 21/05 scorso), che scrive: “Si potrebbero poi eliminare gli attuali trattamenti di sfavore dei trasferimenti fuori dalla linea familiare diretta e buona parte delle deduzioni fiscali che generano distorsioni e un prelievo diverso a parità di valore ereditato (favorendo la cessione del controllo di imprese al di fuori della sfera familiare)”.

Eppure l’esperienza avrebbe dovuto insegnare che tutte le “patrimoniali” hanno sempre avuto effetti e risultati disastrosi. Cominciò nel 1919 il governo Nitti, dopo la Grande Guerra, per sostenere i debiti contratti e colpire gli extraprofitti industriali del periodo bellico (da qui forse Provenzano del Pd ha tratto l’idea di punire chi si è arricchito con la pandemia); il governo fascista la introdusse nel 1936 per far fronte ai costi della guerra in Etiopia; nel 1940 ci fu una imposta patrimoniale per la guerra, poi l’imposta straordinaria del 1947 che negli anni Sessanta si trasformò nella tassazione dell’incremento di valore degli immobili (Invim); nel 1992, per la crisi valutaria il governo Amato introdusse furtivamente, in una notte, un prelievo straordinario del 6 per mille sui conti correnti. Nel 2011 il governo Monti varò l’imposta di bollo sulle attività finanziarie, oltre all’estensione dell’Ici-Imu all’abitazione principale ed all’aumento sulle altre case possedute. Poiché i gettiti sono sempre stati inferiori ad ogni previsione, gli odierni dracula nostrani, succhiasangue di risorse ai proprietari di immobili, avrebbero dovuto pur imparare qualcosa.

Annotazione curiosa e paradossale: il partito delle tasse – i soliti statalisti – arrivano al punto, citando Luigi Einaudi di definire la tassa di successione come una “tassa liberale”, perché dicono con Giuseppe Provenzano, giovane vicesegretario Pd: “Noi vogliamo alleggerire il carico fiscale sul ceto medio e chiedere un contributo per le nuove generazioni all’1% a chi si è arricchito anche durante la pandemia e che eredita o riceve in dono, perché non c’è alcun merito nell’ereditare grandi patrimoni o ricevere donazioni per 5 milioni. La tassa di successione e un principio liberale, non una proposta sovversiva, Biden va in questa direzione, io vedo largo consenso nel Paese”.

Premesso che vedremo poi alle prossime elezioni a quanto ammonterà questo consenso al Pd, come giustamente scrivono Alberto Mingardi e Nicola Rossi, sul Corriere della Sera: “Se Luigi Einaudi ci ha insegnato qualcosa, però, è precisamente che le imposte non le pagano le imprese, i patrimoni o la eredità, ma più semplicemente le persone, di norma attingendo al proprio reddito… Nella lettura einaudiana l’imposta di successione è un’imposta sul patrimonio prelevata ad intervalli incerti ed irregolari nel tempo. E fin qui ci siamo, purché, come si è detto, si abbia l’accortezza di considerare unitariamente tutte le forme di prelievo sul patrimonio (o sulla rendita che ne deriva). Ma c’è di più: per Einaudi l’imposta di successione – per la sua natura – è da considerarsi come una imposta straordinaria nel senso che la sua destinazione “naturale” dovrebbe essere la copertura delle spese di investimento e mai il finanziamento della spesa corrente…. Infine, in cima alle preoccupazioni di Luigi Einaudi vi era quella relativa al disincentivo alla formazione del risparmio implicito in una significativa imposta di successione”. Altro che tassa liberale dunque. (Cfr. “L’imposta patrimoniale”, Luigi Einaudi, introduzione di Mario Riccardi edito da Chiarelettere).

Per concludere, attualmente la situazione è la seguente.

L’ultima riforma del catasto è datata 1990, tra il 1996 e il 1997 le rendite catastali sono state alzate del 5%. A partire dal 2005, i Comuni possono chiedere all’Agenzia il “riclassamento” di singoli immobili o di intere aree. Poi nel 2012 arrivò la mazzata dell’Imu con il governo Monti che ci costa oltre 22 miliardi.

Non va dimenticato inoltre che nel 2020 la pressione fiscale è cresciuta in Italia ulteriormente dello 0,7%, arrivando al 43 contro una media Ocse del 34%. E se il calcolo viene di fatto rapportato solo al gettito dei redditi di coloro che pagano tasse ed imposte, la pressione tributaria italiana supera il 48%.

Del resto la riforma del Catasto – come si ricorderà – era un progetto già definito che fu bloccato cinque anni fa dal premier, Matteo Renzi, sapendo e prevedendo che sarebbe stata impopolare.

Si disse allora, che avrebbe dovuto essere una riforma “a invarianza di gettito” quella che riguardava il Catasto con la revisione dei valori delle case e delle tasse che su di esse gravano. In effetti, però, sarebbe pressoché impossibile non aumentare la tassazione. Proprio per questo i parlamentari delle due Commissioni Finanze non hanno nemmeno citata questa riforma.

Da noi le imposte sul patrimonio immobiliare oggi pesano l’1,5% del Pil, mentre negli altri Paesi Ue per l’1,4%.

Il nostro è perciò il Paese a maggiore tassazione a livello mondiale.

Unica speranza ci viene da Mario Draghi, che proprio in vista di questa riforma fiscale ha messo dei chiari paletti: a) il sistema fiscale rimarrà “progressivo”; b) non modificare le imposte una alla volta; c) fare presto ed entro il 31 luglio presentare un disegno di legge delega che terrà conto del lavoro e delle conclusioni delle Commissioni Finanze di Camera e Senato; d) in questo momento di difficoltà si erogano fondi e non si sottraggono risorse agli italiani.

Diceva mia nonna: “Passa l’angelo e dice amen”.


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