Skip to main content

La lezione dei padri della Chiesa per capire i mali di oggi

“Padri” è il volume che La Civiltà Cattolica dedica ai padri fondatori della Chiesa, un’opera accessibile e divulgativa su molti temi che accompagnano da sempre il cattolicesimo: dalla predicazione, alla povertà del clero, dalla libertà di parola, ai giovani e alla cultura. Riccardo Cristiano l’ha letto per Formiche.net e ne analizza alcuni saggi

In un tempo come questo, nel quale si parla moltissimo di identità e tradizione della Chiesa, il volume che La Civiltà Cattolica dedica ai padri della Chiesa è molto importante. “Padri” è un’opera accessibile e divulgativa su molti temi che accompagnano da sempre il cattolicesimo. L’introduzione al volume di padre Antonio Spadaro spiega proprio questo: “Ogni nazione ha i suoi «padri fondatori», quelli cioè che ne hanno formulato la costituzione e le leggi fondamentali. Tuttavia prima dei padri fondatori viene il popolo, per il cui bene quelli hanno operato. Così, anche la Chiesa ha i suoi «padri fondatori», i Padri della Chiesa appunto, quelli cioè che «ne hanno espresso le prime strutture portanti, insieme ad atteggiamenti dottrinali e pastorali che rimangono validi per tutti i tempi».  Ma la Chiesa, che è popolo di Dio, viene prima dei Padri. Essi sono solo al suo servizio, perché sono al servizio della fede e della santità del popolo di Dio”.

Sono tantissimi i temi trattati, la predicazione, la povertà del clero, la libertà di parola, i giovani e la cultura. Di tutto questo ricchissimo lavoro credo opportuno soffermarsi su alcuni saggi, relativi alle grandi sfide che hanno accompagnato la vita della Chiesa e che mi sembrano, in termini mutati ovviamente, decisivi oggi come allora. Di cosa parliamo?

Cominciamo dallo gnosticismo, presentato da padre Enrico Cattaneo attraverso la critica di questo pensiero operata da Ireneo, padre della Chiesa del secondo secolo. La prima preoccupazione dell’autore è chiarire in cosa consista: “È una concezione negativa del mondo. Dio – il vero Dio, non quello biblico, che è solo un Demiurgo – non può avere creato il mondo, perché ciò sarebbe indegno della sua assoluta trascendenza. Perciò il mondo materiale non è frutto di una creazione positiva di Dio, come insegna la Bibbia, ma sarebbe il risultato di una caduta, di una «defezione» avvenuta nel mondo divino, per cui una parte del divino si trova «alienata» nella materia. È, questa, la sorte dell’anima o dello spirito umano. Non di tutti però, ma soltanto degli «spirituali», nei quali è stata immessa questa scintilla divina. Gli altri esseri umani sono «psichici» o «materiali», e per loro non c’è libertà di scelta”.

Questa presentazione dello gnosticismo ci sembra parlare di qualcosa di ormai finito, ma se si guarda al mondo delle patologie religiose l’idea che il mondo sia il mondo di sotto, una sorta di inferno da contrapporre al paradiso, è pericolosamente presente e diffusa. “In definitiva, lo gnosticismo ha un pensiero essenzialmente dualistico, che procede per contrapposizioni: mondo divino versus mondo materiale; spirito vs corpo; bontà vs giustizia, e così via”.

Questo rapporto negativo con il mondo, presente anche in altre religioni con altre gnosi, è respinto da Ireneo così: “ama il Dio che ti ha creato”. Scrive padre Cattaneo: “Molti indizi fanno pensare che oggi anche all’interno del cristianesimo, influenzato da una cultura ormai estremamente secolarizzata, ci sia, più o meno larvatamente, un certo accantonamento del Dio Creatore. Alcuni lo fanno con il pretesto che la Bibbia parla più di un Dio presente nella storia che non nella creazione”. Deriva da qui una disattenzione, uno scarso amore per il creato?  “Anche l’attuale interesse per l’ambiente – i cristiani parlano di salvaguardia del creato – è una lodevole preoccupazione per la natura, ma spesso si tratta di una natura non più aperta al riconoscimento del Creatore. Una creazione senza il Creatore può essere manipolata a piacimento”. Eccoci allora al secondo punto di Ireneo: la salvezza della carne: “Gli studiosi di Ireneo sintetizzano il suo insegnamento antignostico come incentrato sulla salus carnis, «la salvezza della carne», cioè di tutto l’uomo, non soltanto della sua anima o del suo spirito, ma anche del suo corpo”.

Ora si capisce un po’ meglio perché la questione è attualissima e questo può aiutarci a capire anche l’attualità del secondo punto, l’antidonatismo di Sant’Agostino, di attualità ancor più evidente. Infatti i donatisti pensavano alla Chiesa come una Chiesa di giusti e non sembra difficile supporre che l’idea ci sia ancora: “Nel 311, Donato e settanta suoi seguaci si erano ribellati all’elezione di Ceciliano come vescovo di Cartagine, perché lo consideravano un lapsus («caduto»). Questo era il termine usato per designare quei cristiani che avevano apostatato durante una persecuzione, non avendo saputo resistere alla pressione dei loro persecutori. Quando i donatisti parlavano di lapsi, si riferivano concretamente a coloro che, durante la persecuzione di Diocleziano, avevano consegnato i libri sacri all’autorità imperiale”.

Di qui arrivavano a una conclusione: chi era stato battezzato da loro doveva essere battezzato di nuovo, quel battesimo non poteva avere valore, lo Spirito non poteva più essere con chi aveva ceduto. Sant’Agostino, che aveva grande considerazione di Donato, distinse tra ortodossia, avere cioè la giusta idea, e ortoprassi, tenere il giusto comportamento, che non può verificarsi se non si ha carità, cioè l’amore di Dio e del prossimo. Il tema è trattato da padre José Luis Narvaja, che cita queste parole di Sant’Agostino: “Se il Signore non fece capire il suo errore a un uomo così insigne, è certamente perché apparisse ancora di più la sua sincera umiltà e carità nel custodire santamente la pace della Chiesa, e apparisse non solo ai cristiani del suo tempo, ma anche ai posteri, come esempio salutare […] e mentre molti suoi colleghi, benché la questione non fosse stata ancora chiarita, mantenevano quella che era stata precedentemente la consuetudine della Chiesa, che poi tutto l’orbe cattolico avrebbe abbracciata, egli tuttavia non fece una comunione a parte, separandosi da coloro che la pensavano diversamente”: si sente qui qualcosa di una delle frasi più care a Francesco, “il tutto è superiore alla parte”.

In questo metodo l’indicazione di Sant’Agostino non è quella di non dissentire, ma di non separarsi per la discordia, cioè per mancanza di carità. “Per Agostino è chiaro che subordinare la carità alle idee non è il modo per mettere in pratica l’insegnamento della Scrittura. Perché l’attaccamento alle proprie idee provoca divisioni”. Padre Narvaja presenta il pensiero di Agostino come basato su due caposaldi: ciò che emerge con chiarezza dalla Scrittura è inconfutabile, tutto il resto è il frutto del discernimento della Chiesa che può mutare e anche essere corretto successivamente.

E siamo alla libertà di pensiero, che è ovviamente libertà basata sulla verità e la sincerità. Esclude l’adulazione dei capi, dunque, e padre Enrico Cattaneo sottolinea che questa virtù fu riconosciuta a Gesù anche dai suoi avversari: “Sappiamo che sei veritiero e che non t’importa di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio”. L’annuncio viene subito associato alla franchezza, alla fiducia in Dio. In tempi in cui i cristiani erano anche perseguitati quella storia implicava coraggio: “Chi è animato dallo spirito del Vangelo rifiuta sia l’ideale teocratico, che fa coincidere il regno di Dio con lo Stato, sia le pretese totalitarie dello Stato pagano”.

Nel più antico testo cristiano dopo il nuovo Testamento, la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi, l’esempio di libertà di pensiero citato è quello di Mosè, che osò chiedere a Dio di non attuare il suo progetto di sterminio del popolo caduto nell’idolatria: “Che grande carità! Che perfezione insuperabile! Un servitore parla con tutta libertà al suo signore, chiede perdono per il popolo oppure preferisce essere cancellato anch’egli insieme a loro”. Il successivo riferimento è a un conflitto interno con alcuni presbiteri rimossi: il linguaggio è duro, ma dopo la franchezza c’è l’invito alla conversione nei confronti dei reprobi, non la loro condanna. Vale infatti quanto disse San Paolo: “Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere”. Questa franchezza viene usata anche con il potere scellerato e persecutore, senza cadere nell’anarchismo. Dunque la libertà è franchezza, né insulto né adulazione. Parole di assoluta attualità.


×

Iscriviti alla newsletter