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Civiltà Cattolica e una rinnovata teologia del Mediterraneo

Il saggio della rivista dei gesuiti offre una risposta alla richiesta formulata tempo fa da Francesco: elaborare una teologia mediterranea. Luogo teologico per eccellenza, il Mediterraneo, in questo tempo che non vede l’unità nascosta da visioni contrapposte, polarizzate, manichee, ne spiega l’unità stessa a partire dall’albero che vive solo sulle sue coste, l’olivo

La Civiltà Cattolica coglie nel segno di una delle principali urgenze dell’oggi con un saggio che spiega l’unità del Mediterraneo a partire dall’albero che vive solo sulle sue coste, l’olivo. Dunque dare attenzione all’olivo significa dare attenzione all’uomo che vive in simbiosi con esso. È il tema al centro del saggio che apre il nuovo numero de La Civiltà Cattolica e che è appunto dedicato all’olivo, l’albero, la pianta che incarna il Mediterraneo, il bacino che l’olivo unisce da millenni senza che qualcuno possa dire di essere stato colui che ha insegnato agli altri come coltivarlo. Albero secolare, presente in sé , con il suo legno, i suoi rami e il frutto in tutti i testi sacri, l’olivo parla di un’unità nella diversità che richiede una comprensione profonda.

Il saggio offre una risposta alla richiesta formulata tempo fa da Francesco: elaborare una teologia mediterranea. Luogo teologico per eccellenza in questo tempo che non vede l’unità nascosta da visioni contrapposte, polarizzate, manichee, il Mediterraneo e lo dimostra il suo albero, l’olivo. Dunque questa teologia è ancor più necessaria in questo momento e padre Jean-Pierre Sonnet lo mostra con grande cultura e piena visione mediterranea, partendo dall’agronomo del I secolo, Columella, che lo definì il primo di tutti gli alberi, “anche il primo nel suo modo di addolcire l’esperienza umana e religiosa”, trovando poi in Vincent Van Gogh l’artista capace di farci capire la poetica dell’olivo. Ma procediamo con ordine, seguiamo il discorso profondo e vibrante dell’autore, che segue l’appello di Francesco a una rinnovata teologia del Mediterraneo: “C’è da ripetere, riguardo al bacino del Mediterraneo, ciò che papa Francesco ha formulato riguardo al bacino amazzonico. In un caso come nell’altro, il primo atteggiamento è quello della contemplazione: “Imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, per riconoscere il mistero prezioso che ci supera. Possiamo amarla e non solo utilizzarla, così che l’amore risvegli un interesse profondo e sincero. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, e allora l’Amazzonia diventerà nostra come una madre”. Queste pagine attiveranno un’empatia simile: per accogliere l’olivo, che vibra alla luce del Mediterraneo, e per accoglierlo in tutte le sue dimensioni, occorre innanzitutto mettersi in sintonia con la sua vibrazione essenziale”.

L’olivo è un albero di civiltà, di terrazzamenti, di costa o di entroterra, di collina o pianura, di muretti a secco che favoriscono il microclima necessario alla crescita dell’olivo. “I muretti a secco sono l’eredità di generazioni, instancabili nel lavorare ai piedi degli olivi. Hanno il loro poeta in Giovanni Boine, il quale, nel saggio La crisi degli olivi in Liguria (1911), scrisse: Terrazze e muraglie fin su dove non cominci il bosco, milioni di metri quadri di muro a secco che chissà da quando, chissà per quanto i nostri padri, pietra per pietra, hanno con le loro mani costruito. Pietra su pietra, con le loro mani, le mani dei nostri padri per secoli e secoli, fin su alla montagna! Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte: hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici, dei muri ferrigni a migliaia, dal mare fin in su alla montagna! Muri e terrazze e sulle terrazze gli olivi contorti a testimoniar che han vissuto, che hanno voluto, che erano opulenti di volontà e di forza”.

Quest’arte, costruire i muretti a secco, è entrata nel patrimonio immateriale dell’umanità dal 2018, per riconoscimento dell’Unesco. E così si arriva al primo poeta citato dall’autore che racconta la civiltà dell’olivo, il palestinese Mahmoud Darwish: “Nel suo reticente verde-argento / Il colore esita a dire ciò che pensa, e a guardare ciò che c’è dietro. / Il ritratto, per l’olivo, non è né verde né argento. / L’olivo è il colore della pace, se la pace avesse bisogno / di un colore”. Segue un altro bellissimo inno al colore: “Il modo unico che ha l’olivo di dare del “tu” alla luce è accentuato dalla disposizione ariosa del suo fogliame, che forma una specie di trama. “Il suo fogliame non è mai del tutto opaco – scrive Aldous Huxley –. C’è sempre un po’ d’aria tra le sottili foglie grigio-argentee, sempre un balenar di luce nelle sue ombre”.

Il testo consente dei passaggi impensabili e affascinanti, come quello che porta da Van Gogh alla Bibbia: “Più di ogni altro, Vincent van Gogh è stato attratto dalla luminosità dell’olivo. Durante il suo soggiorno a Saint-Rémy de Provence, ai piedi delle Alpilles, ha scelto gli oliveti dei dintorni come soggetto di 18 dei suoi dipinti. Il Campo degli olivi è attraversato da un’unica vibrazione cromatica, quella che gli olivi trasmettono dal campo al cielo e dal cielo al campo: una Pentecoste a cielo aperto. In un altro dipinto dello stesso anno, Olivi con le Alpilles sullo sfondo, sono gli olivi che trasmettono alle montagne le ondulazioni del rilievo. In un certo senso, l’olivo aspettava il post-impressionismo di van Gogh: il tocco leggero delle foglie richiedeva quello del pennello, tra interstizio e impasto, mentre la luce coglie l’uno e l’altro. Degli alberi della campagna la Bibbia dice che “battono le mani” (Is 55,12). L’olivo ha un suo modo di fare, timido e gioioso al tempo stesso. Anche se vecchio, nodoso e rugoso, è giovane nel suo fogliame. Durante le quattro stagioni dell’anno, invia lo stesso segno di ammiccamento agli uomini, dalle terrazze sulle colline. Risveglia in loro un senso di appartenenza, immemorabile eppure giovane, a questa Terra”.

Il testo racconta tantissimi altri racconti, ma non è solo poesia. L’autore ricorda il ruolo dell’olivo nei tre monoteismi, nelle feste e nei testi, nella Bibbia e nel Corano. Se la Bibbia è citazione convenzionale per i cristiani che parlano di olivo, simbolo di pace, colpisce la citazione della sura XXIV: “Dio è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce”. Un testo sul quale si è esercitato a lungo il gesuita Paolo Dall’Oglio.

Ma tra le caratteristiche dell’olivo c’è anche la longevità, con la ripresa della vita e quindi con Gesù, non raccontabile prescindendo dal giardino degli olivi.

Si arriva così al senso “politico” del testo, chiarissimo: “Un albero unisce i Paesi del Mediterraneo. Li unifica come un’unica terra, dando loro una cultura comune attraverso le divisioni dei confini e dei conflitti. Gli olivi sono in pace, mentre le nazioni che li circondano sono divise: “Polline, tutto è polline in Israele nelle giornate di aprile; polline, tutto è polline, in quei giorni in Palestina. È uno sciame sulle colline, un esodo di stame in gineceo. Il muro, il filo spinato, la cupola di ferro non ci possono fare nulla: qui e là, gli olivi vengono fecondati”.

L’olivo unisce, gli uomini come le tre religioni abramitiche. Dio aspetta “là dove sono le radici”, scrive il poeta Rainer Maria Rilke. Queste radici sono chiaramente quelle dell’olivo. Ognuno dei tre monoteismi, come abbiamo già visto, incrocia più volte l’”albero dell’olio” nella propria tradizione. Insieme possono coltivare l’olivo nella loro memoria, nella loro immaginazione e nei loro propositi, concentrandosi sulle lunghe temporalità, al di là delle rotture, proteggendo l’ambiente creato dai padri, muro dopo muro, prolungando lo spirito della spigolatura e la destinazione universale dei frutti della terra, scegliendo di non colpire di vendetta, salvaguardando, nel cuore del tempo e della notte, lo spirito della veglia”.

Questa teologia della fraternità del Mediterraneo non poteva prescindere da Francesco d’Assisi: “Nella tradizione cristiana, questa fraternità ha trovato il suo manifesto nel Cantico delle creature di Francesco d’Assisi: ‘messor lo frate sole’, ‘sora luna e le stelle’, ‘frate vento’, ‘sor’aqua’, ‘sora nostra matre terra’ e i suoi ‘coloriti flori’. Nelle strofe del Poverello, come in quelle dei profeti biblici, la simpatia cosmica diventa il mantello di un linguaggio profondo che unisce l’oggetto e il soggetto della lode”.

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