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Il cloud di Stato parlerà italiano. Ma dietro ci saranno i Big americani

Il governo prova a stringere sull’investimento, via Pnrr, da quasi un miliardo per la Nuvola che dovrà gestire i dati della Pa. In pole due cordate e tutte italiane. Ma i colossi americani non potranno non essere partner

A ciascuno il suo cloud. E l’Italia avrà il suo spazio dove migrare i dati informatici della Pubblica amministrazione. Il Paese da tempo lavora alla creazione di una nuvola che funga da incubatore per le amministrazioni, centrali o periferiche che siano. Ora il velo potrebbe finalmente alzarsi. Un velo tricolore, visto che con ogni probabilità il cloud sovrano sarà gestito, in prima linea, da operatori italiani. Tanto che finora le cordate pronte a candidarsi al progetto, finanziato dal Pnrr con 900 milioni, sono due e autarchiche: il duo Aruba-Almaviva e il quartetto Cdp, Sogei, Tim, Leonardo.

Tutto, ha raccontato oggi Repubblica, parte dalla gara pubblica per assegnare una concessione pluriennale per il Psn (Polo strategico nazionale, baricentro del nuovo sistema cloud) entro fine 2021, e partire così nel 2022. Quasi certamente il cloud dello Stivale parlerà italiano dal momento che sembrerebbe escluso il ruolo diretto dei colossi Usa, soggetti al Cloud Act con cui dal 2018 il Senato a stelle e strisce si è avocato il diritto di conoscere dati e informazioni gestite da operatori Usa, anche all’estero. Una norma ampia ed estensiva, che riguarda anche soggetti esteri operanti negli Usa o con un rappresentante Oltreatlantico.

C’è poi la questione della sicurezza, visto che si tratta di uno spazio dove saranno ammassati tutti i dati dell’intera macchina statale. Del problema, fondamentale, della cybersicurezza e dell’accesso ai dati si sono dunque occupati, racconta ancora il quotidiano di Largo Fochetti, oltre all’Agenzia pubblica omonima e al Copasir parlamentare, anche alcuni tra i migliori tecnici e legali italiani. Ma c’è un ma.

Perché dal ruolo dei principali attori statunitensi e dalle loro infrastrutture non si può prescindere. E questo perché il loro vantaggio competitivo nei motori di ricerca, nella crittografia e in altri ambiti porterà verosimilmente ad affidare alle varie Google (già in asse con Tim), Microsoft (alleata di Leonardo), Amazon Web Services (che ha stretto un accordo con Fincantieri), ruoli di partner oppure di venditori dei servizi di elevata qualità che poi altri gestiranno per digitalizzare la burocrazia italiana. In altre parole, i colossi americani sembrano disposti fare passi indietro, in ossequio al Cloud Act, e rinunciare alla gestione diretta, pur mettendo a disposizione le loro infrastrutture.

Rimane una questione, ovvero come bypassare il Cloud Act americano, tutelando i dati italiani. Sempre secondo Repubblica, nelle interlocuzioni riservate s’intuisce lo studio di modalità tecniche e cautele giuridiche per non farsi risucchiare dalle norme d’Oltreoceano. Già dal 2022 dovrebbero essere disponibili sul mercato crittografie che proteggono i dati fino al chip del singolo utente. Le stanno sviluppando proprio i colossi Big tech, sperando così di evitare la perdita di volume d’affari a cui li espone la legge. Tali chiavi sarebbero violabili solo da computer quantistici oggi non disponibili, o da un attacco di forza bruta che però impiegherebbe decenni a leggere i dati.

Sulla questione del cloud è intervenuto anche Riccardo Luna, giornalista e grande esperto di tecnologia, sempre dalle colonne del quotidiano diretto da Maurizio Molinari. “Rispetto a come si erano mosse alcune grandi aziende italiane interessate alla commessa, le regole sono cambiate. E sono dovute cambiare le alleanze. A maggio Tim si presentava con Google, Leonardo con Microsoft e Fincantieri con Amazon. Ma queste partnership erano esattamente il contrario di quello che il ministro ha in mente per il Polo Strategico Nazionale”, ha scritto Luna.

“La ragione è che negli Stati Uniti da qualche anno è in vigore una legge, il Cloud Act, che ordina ai fornitori di servizi cloud di mettere i dati a disposizione delle autorità americane a richiesta. Francia e Germania hanno risposto lanciando il progetto Gaia-X per favorire la nascita di un cloud europeo; e l’Italia ha subito aderito (con il precedente governo). Quando al ministero (per l’Innovazione tecnologica, ndr) è arrivato Vittorio Colao la scelta è stata di replicare l’ultima esperienza francese ovvero favorire una partnership pubblico-privata nazionale con un controllo totale dei dati e dei servizi strategici; e al tempo stesso essere in grado di comperare sul mercato la migliore tecnologia, quella americana”.

Secondo Luna “chi sta seguendo il dossier dice che alla fine il Polo strategico nazionale sarà come una grande casa, basata in Italia, con proprietari italiani, che avrà qualche importante elettrodomestico americano ma con i comandi italiani. In pratica le aziende di Silicon Valley per partecipare dovranno fornire le chiavi di cifratura dei dati e delle app al Polo. Di questo si sta parlando in questi giorni, tenendo conto che probabilmente alla fine si andrà verso una soluzione multi-cloud, cioè con diverse tecnologie combinate rispetto alle diverse esigenze. Insomma, Google, Microsoft e Amazon potrebbero persino convivere come fornitori tecnologici”.

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