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Cold case – Il Deep fake e la politica ologramma. L’analisi di Pellicciari

È iniziato come un gioco, è diventato un problema, enorme. Il Deep Fake ha già mietuto illustri vittime della politica internazionale, a partire da Hillary Clinton. Ora ha aperto un nuovo fronte della manipolazione informativa con conseguenze imprevedibili. L’analisi del prof. Igor Pellicciari (Università di Urbino/Luiss)

Questo articolo inaugura Cold Case, rubrica sui generis di politica internazionale che affronta argomenti non convenzionali e/o del recente passato da (ri)analizzare a freddo. Alla ricerca di nuove prospettive e fuori dal mainstream. Con calma.

 

Tra gli emergenti prodotti dell’intrattenimento che sfruttano il progresso tecnologico applicato alle produzioni televisive ve ne è uno in particolare che ha attirato curiosità e raggiunto audience ragguardevoli.

Si tratta del Deep-Fake (traduzione letteraria “Profondo Falso”), il cui nome già ne sintetizza la principale caratteristica, ovvero il montaggio di video iperrealistici dove il rapido accostamento di immagini e suoni originali riproduce al computer sequenze totalmente fantasiose e fasulle.

Da più parti si sono alzate voci preoccupate a riguardo, con argomenti di tipo deontologico (sulla opportunità di raggiungere un tale livello di manipolazione di immagini personali) nonché  di ordine pratico (i video, decontestualizzati, potrebbero essere confusi per veritieri da un pubblico ingenuo e poco informato).

Studi di neuropolitics trattano come caso da manuale l’impatto negativo che ha avuto il Deep-Fake contro Hillary Clinton, circolato nel dark internet e poi spostato nel mainstream durante la prima fase della campagna elettorale di Donald Trump  (le cui responsabilità a riguardo non sono state appurate).

In Italia, a fare discutere è stata l’applicazione del Deep-Fake alla satira politica (tra i primi a inaugurare il filone nostrano è stata Striscia la Notizia con un “fuorionda esclusivo” di Matteo Renzi il 23 Settembre 2019, cui sono seguite decine di altri video con i protagonisti del momento).

Come spesso accade nel nostro paese, le obiezioni al Deep-Fake, comprensibili nel merito, sono state cavalcate strumentalmente e portate agli estremi da chi è poco avvezzo alla satira stessa, soprattutto quando colpisce la propria parte politica, nell’evidente tentativo di silenziarla.

La classica polarizzazione italiana delle opinioni su un particolare episodio corre il rischio di fare perdere di vista importanti questioni collegate al quadro generale, sulle quali si riflette poco e che invece da tempo condizionano la vita pubblica, con outlook futuro negativo.

La prima riguarda il ricorrere alla manipolazione di immagini per fini politici, tradizionale attitudine non solo nei regimi autoritari, ovviamente brutale e sistematica, ma anche in quelli liberal-democratici dove si esprime con più pudore e all’interno di limiti spesso auto-imposti data la mancanza di chiare regole a riguardo.

E’ evidente che i sosia che Saddam Hussein utilizzava in eventi pubblici o l’assenza di immagini private del leader nordcoreano Kim Jong-un si collochino ad un livello manipolatorio molto più alto delle sequenze ad uso televisivo costruite dall’abile Rocco Casalino del Premier Giuseppe Conte assorto al lavoro nel suo ufficio o in camminata frontale e solitaria lungo i corridoi di Palazzo Chigi.

Tuttavia, il fine è lo stesso – ovvero creare una raffigurazione idealizzata del personaggio politico, finalizzata alla crescita del suo consenso ed al suo rafforzamento istituzionale.

Rispetto a questa prassi di comunicazione pubblica che affonda radici nel passato ed è stata enfatizzata dalla massificazione della politica, l’affermarsi dell’era digitale ha portato ad un arricchimento di nuove tecniche.

Di cui a ben guardare il Deep Fake è solo una delle varianti disponibili e nemmeno la più insidiosa, perché si basa su un’esclusiva manipolazione sensoriale indiretta, ottenuta grazie a immagini osservate da remoto; evoluzione della computer animation (CGI) che già all’inizio degli anni 90 aveva iniziato a stupire il grande pubblico.

Con Michael Jackson nel 1991 a cambiare volto molteplici volte nel finale del video musicale “Black and White” o nel 1993  con Jurassic Park di Steven Spielberg e dare vita a dinosauri in carne ed ossa sul grande schermo.

Tutt’altro livello di manipolazione – sensoriale diretta – ha raggiunto in questi stessi anni la tecnologia degli ologrammi, capace di creare immagini tridimensionali illusorie dal vivo, tali da trarre in inganno il pubblico presente.

Finora applicata a fini di entertainment musicale con risultati impressionanti (su tutti, si veda nel 2012 Snoop Dog che canta dal vivo con l’ologramma del defunto TuPac Shakur), questa è tecnologia molto più pericolosa e perversa se venisse applicata a fini politici (ammesso che ciò non sia già avvenuto)

Se non sempre crediamo a quello che vediamo in televisione (per non dire al cinema) per via di un innato scetticismo,  aumentato durante il lockdown nella convinzione diffusa che i media orientino l’audience piuttosto che informarla; molto più duro è non accettare ciò che si svolge davanti ai nostri occhi.

Vengono i brividi a pensare quale sarebbe stata l’evoluzione di alcuni passaggi storici recenti se in certi momenti topici il leader fosse apparso “falso-ma-vero” davanti alla piazza (in festa o in protesta, poco importa).

Sarebbero sopravvissuti più a lungo alcuni regimi la cui sorte era legata alla permanenza in vita del loro leader (dalla Spagna di Francisco Franco, alla Yugoslavia di Josip Broz Tito – fino all’URSS dell’imbalsamato Konstantin Cernenko).

In altri casi, personaggi controversi come Nicolae Causescu, Muammar Gheddafi e forse lo stesso Saddam, si sarebbero salvati dalla tragica fine loro toccata per essere rimasti fisicamente al loro posto fino alla fine.

Sono considerazioni che rimandano ad un quadro generale di imprevedibilità dell’impatto diametralmente opposto che possono ricoprire medesime innovazioni tecnologiche a seconda del contesto istituzionale in cui vengono applicate.

Come nel caso definito qui in precedenza della Politica a Distanza (PAD) esplosa durante il Covid e resa possibile dall’incredibile sviluppo di Information & Communication Technologies degli ultimi tre lustri.

Tra gli aspetti positivi, vi è stato il mantenere in collegamento individui isolati appartenenti a gruppi sociali e comunità professionali; grazie ad incontri virtuali solo qualche anno fa impensabili sia per mancanza di software che di hardware all’altezza.

Meno entusiasmante è stato illudersi di ottenere vera partecipazione con surrogati come riunioni assembleari on-line; o piena agibilità politica con processi elettivi svolti da remoto con voto elettronico o postale.

E tuttavia non è stata la PAD ad avere creato la crisi di legittimità di gran parte delle leadership mondiali ma semmai essa ha avuto il merito di metterla a nudo in tutta la sua chiarezza.

Come a dire che è inutile contenere i Deep Fake in quanto tali, se prima non si è affrontato il problema della produzione sistematica e circolazione sistemica di Fake News.

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