Grillo l’alfiere, Conte il pasdaràn. Succede anche questo al Movimento Cinque Stelle alla prova di Mario Draghi: una torsione a 180 gradi. Sarà abbastanza elastico da sopravvivere o si spezzerà definitivamente? Il mosaico di Carlo Fusi
L’ultima torsione a Cinque Stelle è quella attesa, covata, immaginata ma che quando esplode lascia macerie oltre il previsto. È la faglia definitiva che spezza in due il sogno pentastellato ora diventato incubo. È lo scontro tra il Fondatore e il Leader che già a dirlo così solo poche settimana fa sembrava roba inverosimile. Ma ora il braccio di ferro si ammanta di un alone di tenore sbalorditivo perché i duellanti indossano l’uno i panni che doveva indossare l’altro e non è un esercizio di burlesque bensì l’ultimo e definitivo strappo di una tela fatta di incongruenze.
La riforma della giustizia, forse il totem più identitario del grillismo, fa da sfondo e sul proscenio accade che Beppe l’Elevato si infili addosso l’abito del responsabile, del riformista, del sostenitore del governo Draghi che all’apparire doveva essere quanto di più simile possibile all’elegia del sistema da abbattere e invece è l’amico (ri)trovato, mentre Giuseppe Conte, ex avvocato del popolo e soprattutto ex premier, innalzi barricate nei riguardi dell’inquilino di palazzo Chigi che solo una manciata di ore prima aveva spiegato di aver favorito a insediare.
Beppe il nevrotico Stabilizzatore e Giuseppe il barricadiero con pochette segnano la definitiva torsione di una forza politica nata per la palingenesi e affondata nelle sabbie mobili del parossismo inconcludente e divisivo.
Che Conte fosse destinato a recitare la parte dell’anti-Draghi era prevedibile e su queste colonne l’avevamo previsto. Non ha altro ruolo politico da svolgere se non quello di essere il portabandiera dei successi che furono e delle parole d’ordine che sono state. Rappresenta il tentativo forsennato di riportare indietro le lancette della politica, di rinnegare una fase che si aperta e che richiudere sarà impossibile.
In questo sforzo retroattivo Conte è isolato dal punto di vista delle alleanze e della procedibilità politica, e al contempo si ritrova contornato da pezzi di un esercito in rotta che lo vogliono eleggere generale di successi da costruire nella perduta identità. È difficile immaginare il già doppio presidente del Consiglio nelle vesti del capopopolo, lui che doveva incarnare il moderatismo confirmatorio in grado di recuperare i consensi dispersi in quattro anni. Ma forse ancora più difficile è delineare un Grillo non più di lotta ma solo di governo, pronto a supportare l’azione dell’ex presidente della Bce per risplasmare un Paese e reinserirlo sulla corsia della crescita e dello sviluppo.
A ben vedere, il paradosso più sorprendente di tutti è che sia Grillo che Conte per attuare i loro disegni devono a loro volta impossessarsi entrambi del linguaggio e della determinazione di Draghi: ambedue, infatti, sono obbligati a far proprio quel whatever it takes che ha proiettato l’attuale premier italiano nell’empireo di quelli che fanno la Storia. Ma quelli di Beppe e Giuseppe sono percorsi differenti, anzi opposti. Uno dei due o magari perfino entrambi peccano di credibilità nello svolgere una parte in commedia opposta a quella che loro stessi si erano cucita addosso e dovevano recitare.
Adesso è sempre meno probabile che il MoVimento possa ritrova l’unità diventata un miraggio e un frutto avvelenato. I “contiani” spingono perché il loro leader sul campo alzi il volume della polemica contro il governo e magari nel passaggio parlamentare della riforma Cartabia getti lì un paio di mine capaci di far saltare tutto. Ma è la spinta della disperazione e Conte lo sa: complicato immaginare che vi aderisca.
E forse ancor più scomodo, ancorché obbligato come l’altro, è il ruolo che si ritrova a svolgere Grillo. Deve convincere un magma incerto e tumultuante che la rotta segnata da Draghi è quella giusta e che il fronte opposto spara sì ma a salve. Al dunque Conte e Grillo devono recitare battute e esprimere comportamenti opposti a quelli che li hanno costruiti come personaggi dell’agone politico.
Forse è questa la sfida al contempo più complicata e tuttavia inevitabile. Così facendo i Cinquestelle sono destinati a spezzarsi ma siccome il simbolo è dispari, il pareggio non è possibile.