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Più collaborazione tra Nato e Unione europea. L’analisi di Marrone (Iai)

La cooperazione Nato-Ue porterebbe grandi benefici per tutti, in generale gli alleati dell’Occidente politico-culturale ma non solo. Tuttavia restano dei forti ostacoli alla cooperazione tra Alleanza e Unione, soprattutto per le diverse agende dei Paesi del Vecchio Continente. L’analisi di Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto affari internazionali

Il vertice di Bruxelles dello scorso giugno ha aperto una nuova pagina per la Nato su diversi fronti, dallo spazio al cyber-spazio, dalla resilienza agli impatti del cambiamento climatico sulla sicurezza internazionale, alla luce della competizione globale con Cina e Russia che si gioca anche sul campo tecnologico ed industriale. Su tutti questi dossier la cooperazione Nato-Ue porterebbe grandi benefici per tutti, e c’è quindi il potenziale per una nuova pagina anche nella relazione tra i due attori basati a Bruxelles. Potenziale che si sposa, non a caso, con la grande finestra di opportunità rappresentata dalla presidenza di Joe Biden e dal suo approccio positivo verso Nato, Ue, ed in generale gli alleati dell’Occidente politico-culturale e non solo geografico.

Certo restano dei forti ostacoli strutturali alla cooperazione tra l’Alleanza e l’Unione, non tanto tra i vertici istituzionali e gli staff a Bruxelles, che negli ultimi anni si sono progressivamente avvicinati, ma nelle capitali dei rispettivi Stati membri, come la persistente tendenza di Parigi a costruire un Ue a guida francese non solo autonoma ma anche alternativa agli Stati Uniti e alla Nato o il contenzioso aperto tra Ankara da un lato e Atene e Nicosia dall’altro, che danneggia e rallenta gli scambi a tutti i livelli fino alle cose pratiche più banali, come sabbia continuamente gettata apposta tra ingranaggi delicati.

Ognuno lavora con i mattoni che ha, direbbe l’artefice dell’ingresso italiano nella Nato, Alcide De Gasperi, e questi ostacoli strutturali possono essere in qualche misura superati, aggirati o attenuati, sia in base alla volontà politica prevalente a Washington e, in misura minore, nelle altre maggiori capitali, sia al quadro strategico internazionale. Oggi e nei prossimi anni sia i fattori esterni che quelli interni all’area euro-atlantica sembrano spingere per una maggiore cooperazione Nato-Ue.

In primo luogo c’è l’ascesa economica, militare e geopolitica della Cina come alternativa all’Occidente, con Pechino che persegue una strategia articolata e di lungo periodo per aumentare la propria influenza nei cinque continenti, Europa compresa, su una linea divergente dagli interessi e valori europei e occidentali. La totalità dello spettro politico e delle istituzioni americane riconosce la Cina come avversario numero uno.  E l’amministrazione Biden, a differenza del predecessore Donald Trump, ha impostato la risposta statunitense in un quadro di alleanze occidentali a tutto campo, abbracciando di nuovo non solo la Nato ma anche l’Ue. Ciò spiana la strada per la cooperazione su una serie di dossier che presentano sfide e opportunità, e più domande che risposte.

In primo luogo la resilienza, concetto molto di moda negli ultimi anni. La Nato lavorerà sempre di più per fissare degli obiettivi concreti per rendere più resilienti gli Stati membri, europei in primis, lasciando al livello nazionale le decisioni su come muoversi per raggiungerli. Si parlerà sempre di più in ambito Nato non solo di equipaggiamenti per le forze armate, ma di standard per le telecomunicazioni, controllo delle infrastrutture critiche, tecnologie dirompenti come l’intelligenza artificiale, anche tramite il lancio di un “acceleratore” per l’innovazione tecnologica transatlantica e di un fondo comune rivolto a start-up e aziende civili. E’ evidente il punto di contatto e di potenziale cooperazione con l’Ue: l’Unione infatti da tempo ha emanato direttive sulle infrastrutture critiche, gestisce i rapporti commerciali dei 27 Paesi membri con gli stati terzi, compresa la Cina, investe direttamente il bilancio comunitario in tecnologie duali, nel campo della sicurezza, nello spazio e, dal 2017 per la prima volta nella sua storia, nella difesa.

Una cooperazione Nato-Ue a 360 gradi, dagli aspetti legali agli standard tecnici, dall’innovazione tecnologica agli investimenti, sarebbe una soluzione win-win per tutti, e soprattutto per i 21 Paesi europei, Italia in testa, che sono parte di entrambe. In questo contesto, il principale interrogativo riguarda la capacità sulle due sponde dell’Atlantico, e all’interno del Vecchio Continente, di bilanciare un certo grado di competizione industriale tra i rispettivi player ed una cooperazione europea e transatlantica sufficiente a mantenere il vantaggio strategico su una Cina che investe in modo centralizzato i frutti del di un’economia che rappresenta da sola il 18% del PIL mondiale del 2020.

In questa corsa, lo spazio e il cyber-spazio sono i settori più dinamici. La Nato ha dichiarato entrambi domini operativi al pari di quello terrestre, navale e aereo, affermando inoltre l’applicazione dell’articolo 5 sulla difesa collettiva anche rispetto ad attacchi cibernetici o contro gli assetti spaziali degli Stati membri. Si tratta di due nuove frontiere per la consultazione politico-miliare in ambito Nato, foriera di sviluppi importanti in termini di scambio di informazioni, formulazione di dottrine, istituzione di comandi e influenza sulle relative politiche a livello nazionale. L’Ue da tempo finanzia programmi spaziali importanti come Copernicus e Galileo, dal 2019 ha concentrato in un’unica Direzione generale della Commissione i portafogli per l’industria della difesa e lo spazio, e pochi giorni fa si è ufficialmente dotata di una Eu Space Agency – pur mantenendo l’impegno a cooperare nella più ampia European space agency che comprende anche il Regno Unito. Qui il principale punto interrogativo riguarda la capacità dell’Unione di pensare lo spazio in modo strategico, evitando l’errore di considerarlo in termini esclusivamente civili, ed il dialogo con la Nato avrebbe un effetto positivo al riguardo. Così come sarebbe molto positiva una vera cooperazione Nato-Ue nel campo cibernetico, che per sua stessa natura non conosce confini né nazionali né tra ambito civile e militare, per cui la prevenzione ed il contrasto delle minacce cyber rappresentano un continuum che richiede un approccio integrato a livello nazionale, europeo ed transatlantico.

Ultimo ma non ultimo, e a prescindere dalla competizione geopolitica con la Cina, si pone sempre più per Nato e Ue il tema dell’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza internazionale. L’Unione è da tempo alla guida degli sforzi mondiali per affrontare questo fenomeno di enorme portata, di cui gli aspetti di sicurezza rappresentano solo una piccola parte. La Nato sembra volersi concentrare maggiormente proprio su questa piccola parte, con l’istituzione di un tavolo di consultazione permanente e di un centro di eccellenza, ed in questo potrebbe portare un valore aggiunto in sinergia e complementarietà con l’Unione. Insomma, il cantiere della cooperazione Nato-Ue è aperto ed in espansione, e ci sono molti mattoni a disposizione di mani che abbiano la forza e la capacità di costruire insieme.



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