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Così la Comunità internazionale può intervenire in Tunisia. Colloquio con Fassino

Di fronte a crisi così complesse manca uno strumento multilaterale di governance del Mediterraneo. L’Italia è impegnata a mettere in campo tutto ciò che può aiutare un processo di stabilizzazione e di ritorno alla normalità costituzionale. Le proposte del presidente della Commissione Esteri della Camera

L’Italia guarda con interesse e apprensione a quanto sta accadendo nella vicina Tunisia per le conseguenze che la crisi in corso in quel paese può avere.

Piero Fassino, esponente di punta del Partito democratico e presidente della commissione Affari esteri della Camera, come valuta gli ultimi eventi che hanno scosso Tunisi?

“Seguiamo con grandissima apprensione e preoccupazione quello che succede in Tunisia. Un paese già stremato dal Covid-19 che ha colpito duramente la popolazione locale, da una crisi economica gravissima che si trascina da mesi e adesso da una crisi politico istituzionale. Non possiamo non essere preoccupati alla luce del fatto che la Tunisia si colloca in un quadrante geopolitico che conosce altri punti delicati: penso alla Libia, al Corno d’Africa e al Sahel in un contesto caratterizzato da un alto tasso di instabilità”.

Da cosa deriva questa apprensione e quali sono i timori maggiori?

“L’apprensione deriva dalle modalità degli eventi di queste ore, nel senso che il presidente tunisino, Kais Saied, ha invocato l’applicazione dell’articolo 80 con una interpretazione molto estensiva: ha sospeso l’attività del parlamento, ha sostituito il primo ministro e diversi ministri, ha nominato ministro dell’Interno il comandate della guardia presidenziale e ha intestato a se’ anche i poteri giudiziari. Scelte che suscitano non pochi interrogativi su fino a che punto queste scelte siano effettivamente autorizzate dall’articolo 80 e se non vi sia una interpretazione che va al di là dell’articolo stesso”.

Oltre alle manifestazioni di protesta davanti al parlamento dei dirigenti e militanti del partito islamico di Ennahda si sono registrate anche manifestazioni di sostegno a questi provvedimenti del presidente tunisino.

“E’ vero che ci sono state manifestazioni di consenso, che credo abbiano la loro ragione nella sfiducia di una parte vasta dell’opinione pubblica verso la classe dirigente del paese giudicata incapace di affrontare la crisi sanitaria e economica, ma non va sottovalutato il rischio di una spaccatura verticale della società tunisina e che si produca una contrapposizione frontale foriera di ulteriori involuzioni e di radicalizzazioni pericolose”.

Cosa può fare la Comunità internazionale per evitare questo?

“Certamente sta ai tunisini decidere il destino della Tunisia e non a chi vive al di fuori di essa. Eppure credo che la Comunità internazionale debba avere attenzione verso quel paese mettendo in campo azioni che favoriscano una soluzione, evitando che la crisi precipiti. Parlo di una soluzione su tre punti: rispetto della Costituzione, ripristino dell’attività del Parlamento e attivazione di un dialogo nazionale che coinvolga tutte le forze politiche e sociali della Tunisia per un piano nazionale di rinascita intorno a cui mobilitare, senza esclusioni, tutte le energie della società”.

Ha in mente anche ad altre iniziative?

“La Comunità internazionale deve non solo accompagnare un percorso di questa natura, ma anche compiere atti concreti di solidarietà assicurando i vaccini necessari per affrontare l’emergenza Covid-19, inviando aiuti economici per facilitare la ripresa e accompagnando il percorso di ritorno alla normalità costituzionale. E’ molto importante non scordare il contesto in cui si inserisce la crisi tunisina. Il Mediterraneo mai è stato attraversato da tante crisi come in questi anni. Dallo stretto di Hormuz a Gibilterra vediamo una sequenza di instabilità e crisi: dalla criticità dell’Iran, alla fragilità dell’Iraq, alla guerra civile in Siria e Yemen, all’instabilità del Libano, al Corno d’Africa con Somalia e Etiopia, fino alla vicenda libica e alla crisi tunisina, per non parlare della zona del Sahel e dei rischi che derivano dalla penetrazione jihadista. E’ necessaria una strategia per la stabilizzazione del Mediterraneo”.

Qual è quindi lo strumento che manca per fare questo?

“Di fronte a un quadro di crisi così complesse, ciascuna con le sue ragioni specifiche, manca uno strumento multilaterale di governance del Mediterraneo. I due strumenti che avevamo nei decenni scorsi sono ora inefficaci. Parlo del sistema di cooperazione e sicurezza definito dagli accordi di Helsinki del 1975, per il quale non ci sono più né il contesto geopolitico, né gli attori che sottoscrissero quell’accordo, e della strategia euromediterranea di Barcellona del 1995. Ora c’è la necessità di una nuova strategia multilaterale. L’Unione europea ne è consapevole tanto che nelle scorse settimane la Commissione europea ha avanzato la proposta di una Nuova Agenda per il Mediterraneo. Un passo giusto che va riempito di contenuti e strumentazione operativa per essere efficace e ricondurre in un quadro organico gli interventi per dare soluzione alle singole crisi”.

Qual è il ruolo dell’Italia rispetto a questa crisi?

“L’Italia è interessata a quello che accade in Tunisia e a tutto ciò che accade nel Mediterraneo. Non dimentichiamo la contiguità con la Libia. L’Italia è il paese che più si è speso nell’assistere la Tunisia negli ultimi anni, sia per aiutarla nella crisi economica, sia cercando di gestire insieme il tema migratorio ed è evidente che in queste ore noi siamo attenti e impegnati a mettere in campo tutto ciò che può aiutare un processo superamento della crisi, di stabilizzazione e di ritorno alla normalità costituzionale”.

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