Secondo il direttore del Mena Desk del CeSI, la crisi che si è innescata in Tunisia può evolversi in diversi scenari su cui l’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo di mediazione e spingere le politiche dell’Ue sul Mediterraneo
“Quello che succede in Tunisia racconta una crisi istituzionale profonda che si somma a quella della vicina Libia e del Libano segnando un fronte di instabilità all’interno dell’arco di interessi della politica estera italiana nel Mediterraneo”. Lo spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI.
Il presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi dal suo incarico, citando l’articolo 80 della costituzione che consente questo tipo di misure in caso di “pericolo imminente”. Il Parlamento è stato messo in una sorta di stand by, il Paese è di nuovo senza un governo.
Per Dentice ci sono diversi scenari, che possono arrivare anche alla “deriva autoritaria in senso puro, ossia portare a un presidenzialismo forte in stile egiziano, con la differenza però che in Egitto i militari sono attori centrali, mentre in Tunisia sono più marginali”. Seppure i militari sono stati protagonisti in queste ore caotiche, intervenuti in difesa del Parlamento, hanno poi compiuto un’operazione di polizia sgomberando la sede di al Jazeera, che è una televisione di proprietà del Qatar e considerata vicina alle istanze degli islamici di Ennahda – ispirati all’Islam politico della Fratellanza – mentre il presidente Saied è più collegabile al mondo dei conservatori dello status quo sunnita. Negli ultimi mesi, il principale interlocutore del presidente di Tunisi è stato l’egiziano Abdel Fattah al Sisi.
Un altro scenario evocato dall’esperto del think tank italiano è quello della cosiddetta “dittatura costituzionale”, dove sotto la spinta di una possibile riforma della costituzione, il presidente avoca a sé i maggiori poteri e governa in maniera incontrastata. Terzo, infine, le parti dopo i trenta giorni della durata prefissata della crisi “si mettono a lavorare con consapevolezza e prendono quanto successo come una pausa. Ma è possibile che tutto questo si porti dietro comunque dei problemi creando un precedente rischioso”.
Quanto sta accadendo (va detto in costante evoluzione) manda un messaggio all’Europa. Per Dentice la responsabilità dell’Occidente sta nel non aver salvaguardato la democratizzazione tunisina del 2011 e nel non aver aiutato il processo nel Paese, dopo i segnali già critici emersi nella stagione 2013-2014, quando la tensione sociale e politica era anche allora fortissima. Le fasi successive, le votazioni e la nuova costituzione erano state comunque un tentativo, tuttavia finito in stallo. E qui ci troviamo adesso, punto da cui occorre realisticamente ripartire”.
I segnali della crisi tunisina erano evidenti da diverso tempo, sia sul quadro economico che su quello sociale e istituzionale. Il tutto è stato peggiorato dal Covid. Cosa serve fare? “La Tunisia ha bisogno dell’Europa, e l’Italia deve essere in testa in questa assistenza. Detto questo, a Tunisi serve supporto politico ed economico. Il condizionamento degli aiuti economici alle riforme rischia per altro di essere debole: spesso il quadro macro-economico non porta benefici alla popolazione media, serve essere consapevoli sul dove si va a intervenire e delle complessità”.
In questo contesto è ineccepibile che ci siano interessi per l’Italia. Basta pensare al tema dell’immigrazione: se i flussi riprendono dalla Tunisia è perché si sono create condizioni all’interno del Paese tali da portare alcuni cittadini a fuggire, a cercare fortuna altrove. “L’immigrazione è in effetti un sintomo finale”, aggiunge Dentice.
“L’Italia – spiega l’analista del CeSI – ha l’opportunità di muovere la politica sul Mediterraneo in modo abbastanza chiaro in questo momento anche prendendo le redini di queste crisi. Roma ha l’opportunità di porsi come attore di mediazione. La mediazione non è uno strumento di debolezza, ma è un elemento in grado di dare forza alla politica. E questo lo dimostra anche la situazione attuale in Libia, dove per dirimere il nodo sulle elezioni di dicembre i libici preferiscono venire a parlare a Roma, piuttosto che andare ad Ankara o in altre capitali coinvolte nel dossier”.
Secondo Dentice, l’Italia deve guardare al Mediterraneo in una cornice europea: “L’economia per esempio è certamente un fattore utile per attenuare la crisi tunisina o libica, ma poi c’è bisogno della politica per evitarne altre, e in questo senso l’Italia ha modo e opportunità per aprire forme di dialogo con cui evitare l’innesco di derive complicate, e guidare con Bruxelles le politiche di vicinato nel Mediterraneo”.
La Farnesina ha diffuso una nota sulla situazione: “L’Italia segue con grande attenzione l’evolvere della situazione in Tunisia. La portata e la natura delle decisioni assunte nelle scorse ore dovrà essere attentamente valutata. L’Italia esprime altresì preoccupazione per la situazione e per le sue potenziali implicazioni e rivolge un appello alle istituzioni tunisine affinché venga garantito il rispetto della Costituzione e dello stato di diritto.
In un momento in cui la crisi politico-economica nel Paese è esacerbata dal recente deterioramento del quadro epidemiologico, l’Italia conferma il proprio sostegno a favore della stabilità politica ed economica della Tunisia e ribadisce la propria sincera vicinanza all’amico popolo tunisino”.